Kabul, ucciso il capo dell’Ufficio media del Governo. Colpo dei talebani contro la libertà di informazione

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Aveva appena finito di pregare in Moschea, quando Dawa Khan Menapal è entrato in auto per tornare a casa. Sulla Darul Alam road – un tempo il viale alberato più bello del mondo poi la linea del fronte della guerra civile, oggi una parte importante della Kabul delle istituzioni – un commando l’ha intercettato l’ha ucciso a colpi d’arma da fuoco. E’ morto così il capo dell’ufficio media del governo, questo pomeriggio nella capitale afghana. A rivendicare sono stati i talebani che da anni sono in guerra con quella stampa che loro ritengono troppo filo-governativa, in realtà non digeriscono uno dei pochi successi del post-2001: la nascita di un’informazione vivace e libera.
I giornalisti e gli operatori dei media afghani da anni – per mano tanto dei governativi quanto dei talebani – pagano un prezzo altissimo per fare il loro lavoro ma negli ultimi tempi è cominciata una campagna di omicidi mirati, attribuibile ai talebani, che ha decimato le fila degli attivisti per i diritti delle donne, dei diritti umani, della società civile e appunto i giornalisti.
Intanto il ministero dell’informazione ha fatto sapere che ben 51 testate hanno dovuto sospendere le trasmissioni negli ultimi 5 mesi. E’ un altro frutto amaro dell’offensiva talebana che sta coinvolgendo il sud, l’ovest e il nord del in una manovra circolare che ricorda quella degli anni ‘90 per la conquista del Paese e per sferrare poi l’attacco alla capitale. Purtroppo l’accordo voluto da Trump con i talebani a Doha (“ratificato” acriticamente da Biden) è servito solo al ritiro americano non a portare la pace in Afghanistan dove oltre quarant’anni dopo si continua a combattere e si vive come dopo l’89 e il ritiro sovietico. Stessa violenza, stesso oblio e il mondo che si gira dall’altra parte.
(nella foto Dawa Khan Menapal)


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