Una donna su tre subisce nel corso della sua vita una qualche forma di violenza

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La prima donna uccisa nel 2021 è una bimba, Sharon Barni, di appena 18 mesi uccisa dal compagno della madre dopo essere stata “violata” e picchiata. In Lombardia a Cabiate l’11 gennaio. Altre sette donne sono state uccise in meno di un mese e mezzo

Victoria Osagie in Veneto a Concordia Sagittaria il 16 gennaio.
Roberta Siragusa in Sicilia a Caccamo il 24 gennaio.
Teodora Casasanta in Piemonte a Carmagnola il 29 gennaio: quindici coltellate. Ucciso anche il figlio di appena cinque anni.
Sonia Di Maggio in Puglia, provincia di Lecce il primo febbraio.
Piera Napoli in Sicilia a Palermo, Lulijeta Heshta in Lombardia a Rozzano, Ileana Fabbri in Emilia Romagna a Faenza: tutte e tre uccise il 7 febbraio.

Sappiamo da numerose inchieste che una donna su tre subisce nel corso della sua vita una qualche forma di violenza fisica, psichica, sessuale; e che il 65% degli stupri è commesso dal partner attuale o precedente o da un famigliare: dunque a casa. I femminicidi segnalano forme di violenza “estrema” che sempre coinvolge i figli: restano senza la mamma o addirittura sono uccisi insieme a lei. E’ successo anche che siano uccisi i figli per infliggere una crudele “punizione” alla donna che ha deciso di lasciare il compagno violento.

Sappiamo che nel periodo del lockdown e in generale durante questa pandemia i femminicidi sono aumentati (91 nei primi 10 mesi del 2020) e sono aumentate le violenze dentro casa, diminuite le denunce: prigioniere! (come evidenziato dal rapporto della Polizia criminale). Ne ha parlato ancora Papa Francesco alla fine del discorso ai diplomatici dello scorso lunedì.

Sappiamo che molte cose sono migliorate nel nostro Paese grazie alle donne. Nella società, nelle istituzioni: conquistata una legislazione che riguarda i diritti delle donne sanciti dalla Costituzione (lavoro salute istruzione procreazione libera e consapevole, famiglia paritaria…) e anche la loro libertà storicamente limitata, da una cultura patriarcale che ancora resiste.

E’ un percorso lungo: “il delitto d’onore” è abrogato nel 1981 e la violenza sessuale è rimasta “un reato contro la moralità pubblica e il buon costume” (codice fascista Rocco) fino al 1996 quando la nuova legislazione la colloca nei reati gravi contro la persona. Altre leggi sono state approvate (dal codice rosso al Revenge porn, al delitto di stalking ..) ed è attiva una rete di centri di aiuto alle donne che ne hanno bisogno. Ma tutto questo non è bastato a prevenire la violenza contro le donne.

La violenza contro le donne è “un nocciolo duro” che riguarda prima di tutto gli uomini: ci vuole un impegno culturale esteso di educazione civica e “sentimentale” che faccia loro archiviare l’idea proprietaria, di dominio, di potere che sta alla base della violenza sulle donne. Importanti sono gli esempi di relazioni di rispetto reciproco tra le persone. Oltre alle famiglie e alla scuola, sono gli operatori dell’informazione che possono/devono impedire che nelle notizie si possa con-fondere la vittima con il violento, come accadeva nei processi per stupro di antica memoria e che ancora avviene. “Se l’è cercata…” “Se l’è meritata…”

Sappiamo che la matrice della violenza contro le donne può essere rintracciata nella disuguaglianza dei rapporti tra uomini e donne e che dalla disuguaglianza alla discriminazione alla violenza i passi sono brevi e che l’aspetto più critico è la bassa partecipazione economica delle donne che colloca l’Italia al 125° posto su 153 secondo il Global Gender Gap Report del World Economic Forum 2020.

Le ragioni sono note fin da prima della pandemia: la bassa occupazione femminile (poco meno del 50%, quasi 20 punti in meno rispetto agli uomini) e più bassi stipendi e salari di circa il 20%. Nonostante le donne studino più degli uomini, concludano prima gli studi e con voti migliori!

Sappiamo che le disuguaglianze sono aumentate con le restrizioni dovute al coronavirus. In questa seconda fase si conoscono più cose rispetto al fatto che muoiono più uomini che donne: tra i 20 e 50 anni le donne si contagiano di almeno 10 punti in più rispetto agli uomini. Forse perché nei servizi socio-sanitari i due terzi del personale è femminile.

Sappiamo altresì che la disoccupazione e la sospensione dal lavoro è stata molto più forte per le donne. Forse perché sono più presenti nei settori che ancora affrontano una contrazione drammatica: pensiamo al turismo, alla ristorazione e in generale ai servizi, dove le donne sono oltre l’80% del personale.

Una doppia penalizzazione delle donne che si aggiunge a un non riconoscimento del loro valore e della loro autorità generando una svalorizzazione sociale, alla base della cultura patriarcale e allo squilibrio di potere che esiste ancora fino all’estremo della violenza.

Sappiamo di vivere tempi difficili, una terribile pandemia ha colpito il mondo intero e, con la paura, ci fa interrogare sul futuro che verrà. Non potrà non dovrà ritornare tutto come prima. Non saremo uguali a prima: “saremo migliori o peggiori”.

Ci sono tantissime donne competenti nei vari ambiti della conoscenza, dei saperi, della ricerca e delle attività culturali, della politica, del volontariato sociale, dell’impegno per la legalità e la giustizia.

In questi mesi decisiva è stata la presenza delle donne nelle scuole, negli ospedali ovunque.

L’autorità delle donne è circolata, si è mostrata a tutto il paese. A Codogno è stata una donna, Annalisa Malara medico anestesista, a diagnosticare il primo paziente; tre giovani donne le ricercatrici che per prime in Italia hanno isolato il virus, tante le scienziate che lavorano da anni e finalmente “visibili” almeno in parte. Sono tre donne le protagoniste della rinnovata politica europea: Angela Merkel, Ursula Von Der Leyen, Christine Lagarde. In Italia altre due donne quest’anno sono state nominate rettrici di due importanti università: Tiziana Lippiello a Ca’ Foscari Venezia; Antonella Polimeni alla Sapienza di Roma.

Sappiamo che nei luoghi dei poteri, nei governi dove si decide della vita di tutti le donne non ci sono o, se ci sono, sono state “aggiunte”.

Le grandi crisi sono anche una potente opportunità di cambiamento. Prima della pandemia il mondo si stava già interrogando sulle sfide che aveva di fronte (la sfida demografica, quella ecologica e dei cambiamenti climatici, quella della cultura, della scuola, ricerca e innovazione, quella della pace, della crescita di una cultura di pace). Non si può negare che siamo ad un passaggio epocale.

Al nuovo governo che si sta formando “conviene” investire sulle donne. Non solo sul numero ma per un programma di governo che sovverta l’ordine alla base di modelli culturali e di organizzazione politica, sociale ed economica, causa delle disuguaglianze che si sono addirittura accentuate. Perchè non prevedono per esempio l’esistenza di due soggetti differenti che, per abitare un mondo con agio entrambi, devono progettarlo, costruirlo e “manutenerlo” insieme: un mondo nuovo di cui prendersi cura.

Le donne pensano al lavoro come quello necessario per vivere; che non è solo denaro per il cibo, abiti casa… ma è anche realizzazione, cura, crescita, progetto, invenzione sogni. Le donne vogliono lavorare ma senza rinunciare alla maternità: è una rivoluzione, significa che la paternità non è più garantita dal destino femminile e che gli uomini devono confrontarsi con la scelta delle donne. La riproduzione, e quindi la questione demografica, non è una questione femminile ma di tutti.

C’è in questa posizione delle donne il desiderio e l’ambizione di ricongiungere produzione e riproduzione che la storia e le culture a dominanza maschile hanno separato: cambiano, devono cambiare i paradigmi dello sviluppo.

Il prof. Mario Draghi nel 2011 così declinava come le donne siano un vantaggio per l’economia commentando il rapporto annuale dell’ISTAT “….L’Italia spreca i talenti delle donne. …..La scarsa partecipazione femminile al mercato del lavoro è un fattore cruciale di debolezza del sistema …….l’occupazione femminile è ferma al 46% della popolazione in età da lavoro, 20 punti in meno di quella maschile….. l’occupazione femminile italiana è più bassa che in quasi tutti i Paesi europei, soprattutto nelle posizioni più elevate e per le donne con figli;…… anche le retribuzioni seguono questa tendenza…. …Maggiori servizi e un’organizzazione del lavoro volti a consentire una migliore conciliazione tra vita e lavoro, una riduzione dei disincentivi impliciti nel regime fiscale….sono necessari.”…”…Goldman Sachs ha stimato che la parità di genere tra gli occupati potrebbe produrre incrementi del Prodotto interno lordo del 13% nell’Eurozona e del 22% in Italia insieme a uno sviluppo di inedita qualità sociale. Gli studi dicono, inoltre, che le imprese con consigli di amministrazione misti hanno risultati migliori: e tutto ciò è la conferma del talento femminile sprecato”.

Il nascente governo presieduto dal prof. Mario Draghi ha l’occasione feconda di costruire le condizioni perché l’Italia non sprechi più i talenti femminili.


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