Dal Covid al Recovery plan, dall’ambiente alle donne: il Draghi che ci è piaciuto. Ma sui diritti umani non ci siamo

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Il rigore contro le nuove varianti del Covid, la coesione sociale e della politica, l’imprescindibilità dell’appartenenza all’Europa e l’irreversibilità dell’euro, le donne e l’importanza di un utilizzo accorto del recovery fund. Questo, in estrema sintesi, il fulcro del discorso del presidente del Consiglio Mario Draghi con cui ha annunciato, nel suo intervento per la fiducia in Senato, il programma del suo governo.
In un clima di tensione sottotraccia per via delle misure di sicurezza imposte dalla pandemia – gestito al meglio dal personale di Palazzo Madama – tutto è filato liscio fino al voto dei senatori passata la mezzanotte: 262 i sì al professor, pardon ormai presidente, Draghi. La maggioranza pià ampia di sempre.
Analizzando il discorso del neo primo ministro, colpisce la parte relativa al Recovery Plan con la sua forte impronta ambientalista e le tre grandi riforme da mettere in campo: quella del fisco, quella digitale, quella della giustizia civile. Importanti anche i passaggi sul tema delle disuguaglianze e sulle transizioni epocali in atto nel mondo del lavoro.
Ha un po’ deluso la parte dedicata alla politica estera. Pur condividendo, ma con qualche distinguo, la rivendicazione di un forte atlantismo, l’approccio multilaterale ai dossier internazionali e l’europeismo, evidente pilastro dell’azione di Draghi, e la necessità di consolidare la collaborazione con Spagna, Grecia, Malta e Cipro, a cui ci accomuna la sensibilità mediterranea e la condivisione di problematiche come quella ambientale e migratoria, non abbiamo apprezzato il passaggio sulla necessità di “operare affinché si avvii un dialogo più virtuoso tra l’Unione europea e la Turchia” senza alcun riferimento all’evidente problema della mancanza di rispetto dei diritti umani  e ai continui attacchi alla libertà di stampa e di pensiero nel Paese.
Non possiamo, però, che apprezzare la chiara visione, senza ambiguità e senza tentennamenti, delle crisi e delle sfide internazionali del nostro tempo con una netta scelta di campo e di alleanze nel naturale solco europeista che contraddistingue la nostra storia: una scelta che segna una sostanziale rotture con il recente passato e la fine di ogni equivoco. Lo stesso richiamo alla centralità degli Stati nazionali in un contesto di proficue relazioni internazionali ed europee lascia ben sperare in un cambio di postura, senza complessi e senza subalternità, dell’Italia. 
Importante anche l’aver confermato la profonda vocazione a favore di un multilateralismo fondato sul ruolo insostituibile delle Nazioni Unite.
Resta da capire quale sarà l’approccio verso questioni che noi di Articolo 21 consideriamo fondamentali, come i rapporti con l’Egitto da cui aspettiamo da cinque anni una significativa collaborazione per giungere alla verità per Giulio Regeni e al quale chiediamo la liberazione di Patrick Zaki, studente dell’Università di Bologna in carcere da oltre un anno da innocente.
Ribadiamo, in tal senso, il nostro sostegno alla richiesta alla famiglia Regeni di richiamare per consultazioni il nostro ambasciatore al Cairo, Giampaolo Cantini, come gesto di dignità. Intanto la scorta mediatica continuerà a rivolgere al governo, il quarto che si avvicenda dall’uccisione di Giulio Regeni, di compiere quei passi avanti per verità e giustizia per Giulio Regeni promessi con il ritorno del nostro diplomatico in Egitto dopo una breve assenza dovuta più all’alternanza già prevista al Cairo, che per un vero e proprio richiamo dell’allora ambasciatore Maurizio Massari. 


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