Una guerra del pesce che dura da 50 anni. Intanto in Libia le vittime dell’ultimo sequestro, 18 pescatori che il generale Haftar tiene imprigionati. E l’Italia langue

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“In mare, nel “mammellone”, una zona di mare pescosa davanti alla Libia, noi andiamo armati di buona volontà, di lavoro, di fatica e con le nostre reti. Loro invece, i libici ci sono sempre venuti addosso con le loro motovedette, ci hanno sparato, qualcuno di noi pescatori è anche morto, alcune imbarcazioni costate tanto denaro o sono state fatte affondare o non ci sono state più restituite”. “Oggi manca una voce autorevole, non parlo delle questioni romane, dei ministri che staranno facendo qualcosa per i miei compagni di lavoro tenuti in prigione in Libia, manca una voce autorevole per noi pescatori, anni fa avevamo sempre dalla nostra parte Giovanni Tumbiolo, presidente del distretto della pesca, purtroppo un malore ce lo ha portato via, e oggi è desolante il silenzio”.
Siamo a Mazara del Vallo, una volta fegiata del titolo della capitale della pesca nel Mediterraneo, oggi non c’è gioia, c’è tristezza, qui al porto le barche che partono o che arrivano dopo settimane di pesca, si vede che non hanno bagliori. E’ arrivata a 100 giorni una prigionia ingiustificata di 18 pescatori di Mazara del Vallo trattenuti nelle carceri libiche del generale Haftar in Libia. Haftar il grande nemico del premier libico, Serraj. Gli italiani sono ritenuti buon amici di Serraj, Haftar oggi gestisce questo sequestro e un eventuale riconoscimento italiano oggi non gli basta più. Al porto incontriamo Carmelo, 81 anni, per anni ha fatto il pescatore, la sua vita da pensionato continua ad essere trascorsa al porto. Dapprima ci accoglie con un gesto di scherno, come dire lasciatemi in pace, poi invece si apre quando gli chiediamo di quei 18 pescatori che dall’1 settembre sono chiusi in cella in un carcere della cirenaica, per ordine del generale Haftar. Un patto però niente foto e niente nomi sul giornale, “sugnu un piscaturi”, sono un pescatore, punto e basta.
A memoria, Carmelo si sforza, non ricorda di un sequestro di tal genere, ma una cosa ci colpisce, per lui i sequestrati sono tutti pescatori di Mazara del Vallo. Per la verità la stessa cosa dicono tanti altri qui a Mazara. Ma tra i sequestrati ci sono sei tunisini, due senegalesi e due indonesiani e otto italiani, di Mazara. Però voi dite pescatori mazaresi, perchè? “Non ci possono essere distinzioni, divisioni, sono tutti mazaresi, sono tutti pescatori mazaresi, è sempre stato così per chi va per mare, e a maggior ragione è così oggi per quello che sta accadendo”. Domani, sabato 5 dicembre, ci sarà una iniziativa che punta a rompere quell’isolamento del quale non ci ha detto solo Carmelo. A mezzogiorno suoneranno le sirene dei pescherecci in tutti i porti d’Italia; nel pomeriggio alle 17 sit in davanti alcune prefetture. La storia dei pescatori dei motopesca Atlantide e Medinea è incredibile. Pescherecci sequestrati, pescato confiscato, saccheggi a bordo, e poi il trasferimento dei marittimi in un carcere non si sa dove, dopo che nei primi giorni del sequestro da parte dei libici, erano state fatte circolare delle foto con i pescatori accomodati su divani e poltrone. “Tutta finzione – dicono gli armatori – basta pensare che da quando sono stati sequestrati solo una volta hanno potuto parlare con i loro familiari”. E’ da 50 anni che va avanti questa “guerra del pesce” nel Mediterraneo.
La Libia ha sempre rivendicato anche con Gheddafi la territorialità sullo specchio di mare davanti Bengasi oltre le 12 miglia certificate dal diritto della navigazione internazionale, Atlantide e Medinea sono stati fermati quando si trovavano a 40 miglia dalla costa libica, acque internazionali non riconosciute come tali dai libici. Ma la guerra del pesce ha visto nel tempo i pescherecci mazaresi attaccati da motovedette tunisine, egiziane. Oggi i pescatori mazaresi sono tenuti in carcere dal generale Haftar, lo stesso che qualche anno addietro invece si presentava alla diplomazia italiana per risolvere qualche sequestro. Ma erano sequestri lampo che duravano alcuni giorni, poi tutti tornavano a Mazara, dopo il pagamento di salatissime multe e regolarmente i motopesca depredati di tutto, a bordo si lasciavano solo gli attrezzi per arrivare in porto. “Noi non sappiamo come stanno i nostri figli, i nostri mariti, i nostri padri, i nostri fratelli – dice la più anziana di tutti i familiari, Rosetta Ingargiola, che anni addietro ha perduto il figlio maggiore proprio in mare per l’affondamento della sua barca e oggi teme per la sorte del figlio, il comandante Pietro Marrone – non li abbiamo sentiti, non sappiamo come vengono trattati, io sono pronta a tornare a Roma e a passare le giornate lì in attesa di ricevere la telefonata con la notizia della liberazione”.   Ieri si poteva parlare di scontro diplomatico, oggi questa vicenda dice altro, racconta altro, “non sappiamo cosa – dice uno degli armatori – ma percepiamo che sta accadendo altro e i nostri pescatori rischiano la vita”.
Qui a Mazara c’è una consapevolezza drammatica, a sequestrare i pescatori non sono state milizie in quanto tali agli ordine del generale Haftar, ma milizie diventate veri e propri gruppi terroristici. In queste ore si fa un gran parlare di ricongiungimenti familiari per il Covid, e il ritorno a casa di questi pescatori mazaresi in quale agenda è scritto? Domanda che continua a restare senza risposte. Dalla Farnesina fanno sapere che si sta lavorando, la diplomazia non è ferma, stessa cosa dicono da Palazzo Chigi, senza risposte restano invece le domande girate nelle scorse settimane quando si è saputo che al momento del sequestro dei due motopesca navia della Marina Italiana sarebbero rimaste a guardare. I familiari dei pescatori ogni giorno si danno appuntamento nell’aula consiliare del Comune, fuori un grosso striscione “liberati i pescatori di Mazara del Vallo”.
La Chiesa di Mzara è mobilitata con il suo vescovo Domenico Mogavero, dopo l’appello fatto ad ottobre scorso da Papa Francesco durante l’Angelus domenicale, la Santa Sede non ha smesso di tenersi aggiornata attraverso la Curia. “Restare in silenzio anche davanti l’appello del Pontefice – dice l moglie di uno dei sequestrati – è cosa che provoca angoscia, il sostegno del Papa, della Chiesa per noi è stato importante, abbiamo ricevuto la carica per continuare e noi continueremo fino a quando non torneranno nelle loro case”. “La speranza è l’ultima a morire, ma chiediamo aiuto al Governo. Che il presidente Conte e il ministro Di Maio ascoltino le nostre parole” dice con rabbia la signora Rosetta Incargiola, 74 anni, che da quando suo figlio Pietro Marrone è stato arrestato, occupa l’aula consiliare. “Vogliamo i nostri pescatori a casa – dice l’armatore Marco Marrone – ma vogliamo anche che il Mediterraneo torni ad essere mare nostrum, e non mare mostrum”.

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