Mediaset-Vivendi. Il Tar del Lazio contro il regalo del governo

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Lo scorso 23 dicembre il tribunale amministrativo del Lazio ha accolto il ricorso del gruppo di Bolloré contro la delibera n.178/17/CONS dell’autorità per le garanzie nelle comunicazioni che congelava parte dei diritti di voto di Vivendi in Mediaset per la contemporanea presenza in Tim-Telecom con il 23,94% delle azioni.

Si riferisce – l’importante sentenza pregiudiziale- alla decisione del 3 settembre della corte di giustizia dell’unione europea, che dichiarava illegittima la norma della legge Gasparri del 2004 (recepita nel testo unico del 2005), che astoricamente impediva gli incroci crossmediali. E non certamente per seguire un’eventuale scuola mediologica, bensì per mettere in cassaforte il biscione cui generosamente si riconoscevano tre canali analogici  televisivi nazionali.

La scelta del Tar vedrà sicuramente il ricorso al consiglio di stato da parte di Mediaset. Quindi, il finale della contesa non è vicino. Tuttavia, va detto con amarezza che la stessa sentenza amministrativa sarebbe stata di ben diversa portata se nel frattempo l’Agcom, all’alba della sentenza di Lussemburgo, avesse quanto meno sospeso la propria decisione, attendendo l’orientamento conclusivo del Tar. Cos^ non è andata. Si è preferito attendere, per poi  sottostare all’improvvido articolo n.4 bis  del decreto legge n.125 del 7 ottobre 2020 convertito nella legge n.159 del 27 novembre scorso: il tristemente famoso emendamento Mediaset.

Ciò non toglie che il Tar sembra raccogliere dal fango, per parafrasare qualche classico, la bandiera del diritto lasciata cadere da un governo contraddittorio nei riguardi delle sue stesse premesse programmatiche: il rispetto della trasparenza e l’assenza dei conflitti di interessi. Le varie componenti che sostengono palazzo Chigi, nelle differenti sfumature di colore, si sono prontamente arrese davanti alle necessità di sopravvivenza delle aziende di Berlusconi. Per sfruttare alla bisogna un po’ di voti in parlamento di Forza Italia. Chissà. Pare, alla luce della storia italiana, come un esempio attuale della sindrome di Stoccolma. Tanto il tycoon di Arcore ha fatto del male all’immaginario collettivo con le note conseguenze elettorali (se si vuole capire le origini del populismo qualunquista, si riveda il palinsesto delle reti dell’allora Fininvest degli anni ottanta), quanto ostinata è risultata la sudditanza complice delle stesse – pur vilipese- forze democratiche.

Intendiamoci. Il patron francese non è un personaggio da libro cuore e pende sul suo piccolo impero la recente procedura aperta sulla manipolazione del mercato dalla procura di Milano. D’altra parte, il citato 4 bis è sotto la lente di ingrandimento di Bruxelles.

Insomma, c’è materia per un film di Chrisopher Nolan.

Rimane plasticamente l’immagine oscura dell’atteggiamento dell’esecutivo e di una maggioranza parlamentare insensibili alle urgenze di avviare una vera riforma del sistema delle comunicazioni, approfittando del recepimento in corso di numerose direttive europee. E sensibilissime, invece, alle sirene di Arcore. Del resto, com’è bello fare la spola tra un talk e un altro, laddove la politica da rappresentanza è diventata pura rappresentazione.

La data della sentenza del Tar  induce ad un ulteriore cattivo pensiero: è lecito che si vari una norma come quel maledetto 4 bis in presenza di una vicenda giurisdizionale in fieri, inserendosi impropriamente nell’autonomia della magistratura? I principi sono di moda a giorni alterni?

Non rimane che sperare che un drappello di parlamentari raccolga davvero la bandiera dal fango e metta in cantiere una doverosa ristrutturazione normativa dei media. Vecchi e nuovi.

E’ un augurio per il prossimo anno, naturalmente. Che la pandemia non intacchi anche le menti e le coscienze. La velocità futurista dell’età digitale contribuisce a classificare tra i reperti della preistoria gli emendamenti per Mediaset. Basta, no?

E auguri pure all’Agcom, affinché tuteli davvero il pluralismo, senza strabismi e merletti fuori tempo.

Fonte: “Il Manifesto”


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