L’inferno tra noi descritto in un incontro tra Marco Omizzolo e Daniele Moschetti. Con uno slogan: “Viva gli ultimi della terra”

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C’è un inferno così simile a quelli africani e confuso tra noi, qui in Italia, in una terra complicatissima qual è il litorale della provincia di Caserta. Ne parla padre Daniele Moschetti, comboniano, per decenni missionario nelle baraccopoli in Kenya, in Sud Sudan, in Palestina e con i suoi occhi guarda una realtà in Italia per nulla dissimile. Interviene ad una serata organizzata dal Teatro Bertolt Brecht di Formia che ha come filo conduttore “Viva gli ultimi della terra” e ne discute i tandem con il sociologo e giornalista Marco Omizzolo che da anni racconta l’inferno dei braccianti indiani dell’agro pontino. Parlano entrambi la stessa lingua e descrivono cosa significa essere giovani migranti in Italia, da lavoratori o da “clandestini” o da richiedenti asilo, ma soprattutto da ragazzi di talento che, però, non hanno la possibilità di studiare né diritto di cittadinanza. Padre Moschetti si sofferma a lungo sulla sua esperienza in Sud Sudan e pone l’accento sugli errori dell’Europa per poi passare all’attualità, a cosa sta accadendo nel Mediterraneo e all’appello lanciato da “Nigrizia” per fermare le stragi in mare. “E se ad affogare fossimo noi” è il manifesto che sta raccogliendo migliaia di firme in queste ore e che Daniele Moschetti legge alla platea del Bertolt Brecth, il laboratorio teatrale di Formia da anni impegnato su temi sociali che quest’anno ha dedicato il suo festival proprio agli ultimi per dire ad alta voce “Viva chi non conta niente e viva l’arte che si ribella contro i pregiudizi le ingiustizie la cecità di chi è chiamato a vedere ed invece si volta dall’altra parte”.
“Se fossimo noi ad affogare” è una lettera aperta durissima, cui hanno aderito per primi Nigrizia, Libera, Centro Astalli, Comboniani e decine di altre associazioni umanitarie. Proprio per il suo contenuto è subito entrata nel mirino degli squadristi da tastiera che l’hanno bollata come un modo per difendere interessi economici delle ong e delle associazioni umanitarie. Anche di questo fenomeno di violenza in rete si è parlato nel corso dell’incontro. Marco Omizzolo ha sottolineato le difficoltà che si incontrano nel raccontare lo sfruttamento del lavoro degli immigrati in quanto è un fenomeno che può contare su coperture politiche ed economiche molto importanti, le stesse che erano contrarie alla legge sul caporalato, approvata proprio in seguito al primo grande sciopero dei braccianti pontini, quello dell’aprile del 2016. E’ stato, purtroppo, pressoché inevitabile associare lo sfruttamento del lavoro alla criminalità organizzata e alle condizioni socioeconomiche di alcuni territori. Padre Moschetti ha ricordato come nella terra in cui vive e lavora oggi la camorra è molto presente e lì bisogna combattere una doppia battaglia, quella contro l’emarginazione degli ultimi, i migranti che lavorano per pochi euro l’ora e che non riescono a mandare i figli a scuola e quella contro la ferocia dei clan. Un corpo a corpo dove spesso sono proprio gli ultimi a dare “lezioni civiche” di denuncia. E così accade che siano proprio i braccianti indiani a denunciare i padroni e a stare da soli come parte civile nei processi. O accade che gli immigrati che vivono in condizioni disperate a Castel Volturno diano vita a progetti di rinascita straordinari. Ed è incoraggiante ascoltare una sera che un altro mondo è possibile.


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