A proposito di Navid Afkari e dell’informazione sui diritti umani

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Ci sono diversi modi di parlare di diritti umani negati all’estero. Il primo è scrivere un pezzo di cronaca, riferendo gli eventi e dichiarando le fonti. Il secondo è contestualizzarli, alla luce della situazione interna e della collocazione internazionale del Paese in cui si sono verificati, due elementi da cui non può prescindere qualunque strategia tesa ad evitare che gli abusi si ripetano. In entrambi i casi, però,  è sempre utile chiedersi perché quegli eventi, e non altri, siano finiti quel giorno sui monitor dei nostri schermi per diventare imperativamente notizia.

Prendiamo l’ultimo caso che ha coinvolto l’Iran: l’esecuzione sabato scorso del campione di lotta Navid Afkari, accusato di aver ucciso un funzionario pubblico nel corso di una delle tante proteste svoltesi nel 2018. Della vicenda hanno parlato praticamente tutti i media, compreso Huffington Post tramite il blog di chi scrive  https://www.huffingtonpost.it/entry/il-campione-navid-e-stato-giustiziato-liran-ha-tradito-ancora-la-sua-storia_it_5f5cdf99c5b67602f605d37c?utm_hp_ref=it-esteri, in cui vi sono anche alcune valutazioni nel senso indicato nel secondo punto. In particolare quella relativa al fatto che, visto il clamore che il caso di Navid ha suscitato tra gli iraniani, prima ancora che nel mondo, i magistrati dovrebbero mostrare in primo luogo ai propri concittadini, in modo trasparente, le prove che: Navid fosse inconfutabilmente  colpevole; che gli siano state date tutte le garanzie di un giusto processo; che non sia stato torturato insieme ai suoi fratelli e che la sua confessione non fosse stata resa sotto pressione.

Inoltre,  si è appreso che l’esecuzione è avvenuta prima dei risultati di una perizia apparentemente avviata per verificare le sue dichiarazioni sulle torture subite: in carcere – avrebbe raccontato lo stesso Navid in una telefonata alla famiglia poche ore prima dell’esecuzione – gli sarebbero state scattate alcune foto per verificare le presunte violenze subite. A riferire quest’ultimo particolare è stato l’avvocato Babak Pania, in un’intervista da Teheran con il servizio in persiano della Bbc. Il legale ha anche confermato che i familiari della vittima avrebbero dato  segnali positivi sulla possibilità di un dialogo con la famiglia di Navid, che avrebbe potuto portare ad un perdono. Cosa che avrebbe permesso di convertire la sentenza in una pena detentiva e in un risarcimento alla famiglia. In questi casi si prevede che le autorità giudiziarie debbano fare di tutto per favorire il perdono e far incontrate le famiglie. Inoltre secondo la legge islamica la famiglia della vittima (i ‘possessori del sangue’) devono essere presenti al momento dell’esecuzione, anche per dar loro la possibilità di cambiare idea fino all’ultimo minuto. Invece loro hanno saputo della esecuzione solo quando questa era avvenuta. La salma sarebbe stata inoltre seppellita di notte sotto stretto controllo di polizia https://twitter.com/NegarMortazavi/status/1304870486829080579 . La difesa del giovane si aspettava dunque di avere più tempo davanti a sé, ed è stata colta di sorpresa dalla notizia dell’impiccagione. Inoltre, il giovane avrebbe dovuto essere informato dell’esecuzione 48 ore prima, per poter fare testamento e chiedere di incontrare i familiari, ma non aveva detto nulla nella sua ultima telefonata. Infine, l’impiccagione à avvenuta insolitamente durante il Muharram, mese in cui non si dovrebbe uccidere, ma ormai quasi alla fine.

Perché dunque questa fretta di chiudere il caso? E’ questo uno dei quesiti che si potrebbero aggiungere a quelli già avanzati da Iran Human Rights, che ha raccolto un dossier sulla vicenda giudiziaria di Navid https://iranhr.net/en/articles/4406/ e ha chiesto che “la magistratura della Repubblica Islamica, se insiste nell’aver seguito la procedura giudiziaria corretta, accetti le valutazioni di una commissione internazionale”.

Quanto al contesto in cui si sono svolti i fatti, va ribadito che, se è vero che la magistratura è indipendente dall’esecutivo, è ugualmente vero che in Iran ha spesso remato contro i governi riformisti e moderati. E’ dunque legittimo ipotizzare che l’esecuzione di Navid – sicuramente un monito per chi volesse partecipare a nuove, eventuali proteste sociali – sia stata anticipata per mettere in difficoltà il ministro degli Esteri Javad Zarif, alla vigilia della sua partenza per un tour nelle capitali europee, se non addirittura per sabotare tali visite.

Inoltre, nel momento in cui legittimamente si chiede all’Iran che siano rispettate le regole del giusto processo e i diritti degli imputati, non si può scordare che, sul piano della legalità internazionale, Teheran ha tutte le ragioni per accusare gli Usa di essere venuti meno agli impegni presi con il Jcpoa e per imputare ai partner europei di non aver fatto abbastanza per rispettarli, troppo deboli di fronte alle pressioni statunitensi.

Quale dunque l’atteggiamento dell’Europa nei confronti dell’Iran su queste due questioni? Non è forse dovere dei giornalisti ricordare l’una insieme all’altra?

Infine, sarebbe forse opportuno che tutti i colleghi che si trovano a scrivere di diritti umani violati in Iran si chiedessero anche come mai siano quasi soltanto i casi denunciati in quel Paese a finire sui nostri media. Credo infatti che sia sempre  nostro dovere chiederci quali soggetti determinano la nostra agenda mediatica quotidiana, con quali mezzi (a cominciare da certi hashtag sui social improvvisamente  “virali”, e per quali motivi. In proposito – anche per non rischiare certe accuse di fiancheggiamento con la Repubblica Islamica che spesso colpiscono alle spalle – si cita il collega Alberto Negri in un suo recente articolo sul Manifesto https://ilmanifesto.it/sentenze-da-manuale-dittatori-buoni-e-dittatori-cattivi/:

(…) “Sulla nostra stampa è un coro di peana contro le dittature. Ma non si legge mai un articolo che si proponga di sanzionare l’Arabia saudita, Paese che vìola sistematicamente i diritti umani, o gli Emirati arabi uniti che con Riad hanno portato la guerra in Yemen uccidendo migliaia di persone con i loro caccia acquistati dagli Usa e armati da bombe micidiali di marca tedesca fabbricate in Sardegna (…).

Appunto, parliamone.


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