Braccianti sfruttati e minacciati con le armi dai caporali. Omizzolo: “Questa è l’agromafia”

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Come l’Alabama degli Anni 60, una terra dove sangue, sudore e paura sono all’ordine del giorno nei campi di coltivazione e raccolta a due passi dal mare celebrato in nome di Giove Anxur. Lì, a Terracina, un imprenditore agricolo di 35 anni aveva inventato un sistema perverso per far lavorare i braccianti nella sua azienda fino allo stremo: li faceva minacciare dai caporali, tutti armati di fucili a pompa e coltelli che minacciavano chi osava fermarsi anche solo per un minuto e per bere un po’ d’acqua. Lavori forzati, come nelle prigioni. Non è stato contestato il sequestro di persona dalla Procura di Latina. Per ora Alessandro Gargiulo risponde di aver ridotto in condizioni degradanti i suoi dipendenti, di sfruttamento della manodopera oltre che di una sfilza di violazioni amministrative e fiscali perché i lavoratori non venivano pagati come da contratto, bensì alla maniera che si usa nell’agro pontino, tre euro l’ora per 12 ore al giorno, inclusi tutti i festivi, niente ferie né malattie e una vita difficile nelle baracche adibite ad alloggio. Una situazione che è già sotto gli occhi di tutti da diversi anni e che appena due giorni prima dell’arresto di Gargiulo aveva prodotto un altro blitz a Fondi con la denuncia di alcuni imprenditori del posto per sfruttamento della manodopera nel settore agricolo. Questa volta la “novità” gravissima è l’uso delle armi per controllare che tutti lavorassero senza sosta, motivo per il quale anche alcuni collaboratori dell’imprenditore sono stati denunciati e rispondono, tra le altre cose, di porto abusivo dei fucili, una decina, tutti sequestrati dalla polizia di Terracina. Il reato di riduzione in schiavitù è stato già contestato in processi per lo sfruttamento dei braccianti agricoli davanti al Tribunale di Latina, dove i procedimenti pendenti per i reati consumati in danno di lavoratori stranieri, soprattutto indiani, ormai sono decine. Nella maggior parte dei casi alle violazioni contrattuali si aggiungono minacce, sottrazione dei documenti di identità per evitare che i dipendenti scappino, violenza sessuale sulle donne, lesioni causate dall’uso di pesticidi illegali. Poche cose sono cambiate da quando il 18 aprile 2016 c’è stato il primo sciopero dei braccianti Sikh. In compenso c’è chi continua a tenere i riflettori accesi sui nuovi schiavi utilizzati nell’agricoltura pontina: è il sociologo Marco Omizzolo che con l’associazione In Migrazione e la Flai Cgil racconta ogni singola storia di questo pianeta feroce, capace di produrre la seconda voce delle esportazioni locali verso l’Unione Europea. L’ultimo arresto arriva nelle stesse ore in cui l’Associazione Stefano Cucchi conferisce il Premio Diritti Umani 2019 alla comunità Sikh di Latina che porta avanti da anni una dura battaglia per i diritti dei lavoratori, tra grandi difficoltà e soprattutto in assenza di un’efficace rete di controlli. “Ho cercato di spiegare tante volte che cos’è l’agromafia applicata alla provincia di Latina – dice Omizzolo – oggi abbiamo sotto gli occhi la trasposizione precisa di che cos’è il fenomeno dell’agromafia. Questa vicenda e quelli che saranno gli atti giudiziari spiegheranno meglio di qualunque fotografia o disamina cosa succede in quel territorio”.


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