A Dublino si è respirata aria di resistenza

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A Dublino, dal 02 al 05 settembre, è stato organizzato da Frontline Defenders un nuovo appuntamento mondiale che ha permesso a diverse centinaia di difensori di diritti umani di incontrarsi, socializzare pratiche di lotta, resistenza, problematiche, vecchie e nuove forme di discriminazioni sia di Stato che militari. Donne e uomini provenienti dalla Somalia, Arabia Saudita, Cina, Bolivia, Argentina hanno denunciato, con la forza della propria esperienza, violenze e omicidi di Stato di cui sono vittime da anni e contro le quali da anni si battono con una fierezza che spinge ad avere ancora fiducia nell’uomo.

Il mondo ha mostrato uno dei suoi volti migliori. Donne provenienti dal Madagascar, Nigeria, Sudafrica e da molti altri paesi hanno raccontato le loro lotte, socializzate le loro metodologie e raccontato le loro difficoltà di transgender, transessuali e omosessuali. Ancora troppi sono gli Stati che praticano violenza e discriminazioni, omicidi e torture al solo scopo di ridurre al silenzio giornalisti, blogger, testimoni di giustizia. Alcuni testimoni hanno parlato e denunciato le loro condizioni di vita e i pericoli che ogni giorno corrono insieme alle loro organizzazioni e comunità, sorridendo, altri piangendo, altri stringendo la loro bandiera nel pugno e altri ancora invece alzando quel pugno in segno di libertà e giustizia. Alcuni tra tutti quei ragazzi e ragazze non hanno potuto mostrare il loro volto ne pronunciare il loro nome per il pericolo di morte che corrono sistematicamente in ogni luogo del mondo essi vivano.

A me il compito di raccontare cosa è stato organizzato in termini di lotta, autodeterminazione, consapevolezza ed emancipazione nell’Agro Pontino e poi in Italia nella battaglia contro ogni forma di schiavitù, sfruttamento, discriminazione e violenza contro i migranti, a volte impiegati come schiavi nelle nostre campagne, discriminati perché capaci di resistere alle violenze del padrone, a volte vittime di spedizioni punitive da parte di padroni senza dignità. La loro lotta è un impegno in difesa della democrazia che abbiamo il dovere di accompagnare, sostenere e condurre con loro. Basti pensare che secondo l’ultimo rapporto Agromafia di Eurispes il giro d’affari delle agromafie in Italia nella sola agricoltura è di circa 25 miliardi di euro.

Presto peraltro ne parleremo anche alle Nazioni Unite dove porteremo nuove prove e nuove modalità di lotta contro un fenomeno che è inciso a fuoco nella carne di un capitalismo predatorio e nel contempo cannibale.
Tutti i difensori dei diritti umani, coi loro linguaggi, colori, esperienze, cicatrici, sono la prova che nel mondo viaggia ancora un sogno che è quello di costruire una società migliore in cui nessuno, riprendendo Martin Luther King, possa essere discriminato per il colore della propria pelle ma anche per la sua nazionalità, orientamento sessuale, appartenenza di classe, idee politiche, ecc. E poi difendere questa terra dalla predazione e da ogni processo che ne alteri gli equilibri ecologici. Quando ho sentito i racconti di tante donne e uomini del Sudamerica parlare di lotta alle devastazioni ambientali, di difesa del territorio e della vita dei villaggi dagli squadroni della morte dei loro governi, dei loro compagni e compagne uccisi in raid assassini dalle forze di polizia locali, ho visto la violenza di un mondo che non vuole rassegnarsi e la bellezza di un altro invece che non vuole soccombere e per questo ha deciso di resistere. A questi difensori dei diritti umani non è stato regalato nulla. Si sono conquistati ogni metro fatto, ogni parola pronunciata, ogni cicatrice. Alcuni tra loro hanno fatto anche dieci o venti anni di carcere perché credono nella democrazia, che è inclusiva oppure non è. Per questo la Lega è tutti gli hooligans del sovranismo ovunque nel mondo sono un pericoloso per la democrazia.
Chiudersi in sé è sempre la strada più facile e comoda per impoverirsi, isolarsi e restare indietro sul piano dei diritti e dell’agire democratica. Un paese che pensa di bastare a se stesso è destinato a crollare sotto il peso delle sue contraddizioni e povertà. Una democrazia che non accetta la sfida della complessità a partire dall’inclusione della diversità dentro ogni declinazione possibile, non è una democrazia ma l’espressione di un sovranismo che è potere di pochi contro la povertà di molti.
Qualcuno ci ha raccontato, per anni, che bisognava tenere i piedi per terra. Io so che volare a volte serve per alzare lo sguardo, che resiste nel mondo la voglia di giustizia e libertà che anima ancora le menti e i corpi di tante persone che in diverse aree di questo mondo anziché scuse per non fare, vivono le ragioni del fare e soprattutto del fare nella direzione di un cambiamento che riconosca giustizia, futuro, libertà, democrazia a tutti. “Nessuno escluso” è ciò che spero presto diventi la bussola del cambiamento.
A Dublino si è respirata aria di resistenza, coi contadini che resistono alle multinazionali, indigeni coi loro fierissimi abiti colorati, ragazze di vari paesi dell’Est Europa che si commuovono quando sentono parlare di libertà, più libertà per tutti. E poi decine di giornalisti che hanno scontato il carcere nei loro paesi, che hanno visto violati i loro diritti di cronisti della loro dittatura, di formatori della democrazia e che per questo sono stati torturati e perseguitati. Resto convinto che la storia la cambi chi decide di cambiare il modo di lavorare, ragionare, parlare, raccontare e vivere nel mondo. La scelta inevitabile è quella di socializzare le lotte, unire i saperi, con-fondere nel senso di tenere insieme le persone, allargare i diritti, sconfiggere le disuguaglianza. Dicono sia un sogno, a me da Dublino pare un sogno possibile. Fiero di essere stato nominato Human Rights Defender, il resto lo faremo insieme.

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