La vita e la storia di Lepri ci ricordano che il nostro diritto-dovere di informare si fonda sulla Costituzione

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La settimana scorsa, quando a Firenze sono cominciate le celebrazioni per i 100 anni di Sergio Lepri, l’attuale direttore dell’Ansa Luigi Contu ha ricordato in un post la frase che da lui si sentì dire al momento in cui venne assunto all’agenzia: “Contu, non le chiedo per chi vota, non me lo faccia capire da quello che scrive”.

Sono passati parecchi anni, che dal punto di vista delle tecnologie dell’informazione sono stati densi di novità come fossero secoli, ma in quelle parole c’è ancora una delle ragioni per le quali oggi festeggiamo un maestro del giornalismo italiano. La dimostrazione che si può essere insieme – anche se a dirlo sembra un ossimoro – ‘terzi’ e ‘schierati’: chiamati ad un racconto onesto, alla ricerca di una verità dei fatti anche quando essa non si allinei alle nostre personali preferenze, e al tempo stesso fedeli ad una scala di valori civili sulla quale non si fanno compromessi. La scala di valori data dalla nostra Costituzione, per la quale Lepri ha combattuto prima da partigiano e poi per darle attuazione in una lunga e straordinaria carriera di giornalista.

Vale sempre, quella lezione. Vale a maggior ragione oggi, quando in parti della categoria sembra aver fatto strada una malintesa idea di par condicio che vorrebbe mettere alla pari razzismo e antirazzismo, fascismo e antifascismo, a cui offrire le stesse opportunità di espressione in nome di una presunta completezza dell’informazione. La vita e la storia di Sergio Lepri, gli insegnamenti sui quali si sono formate generazioni di giornalisti, sono lì a ricordarci che il nostro diritto-dovere di informare è piantato sul terreno solido della Costituzione, e dunque non può mai significare indifferenza alle discriminazioni, alle violenze, ai linguaggi d’odio. Tanti auguri e un grande grazie, Maestro.


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