Il proprio dovere nell’informare è sancito dalla Costituzione. Un premio per la libertà di pensiero a Donato Ungaro e al Teatro delle Albe

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Il Premio Articolo 21 a Donato Ungaro, Marco Martinelli ed Ermanna Montanari del Teatro delle Albe, è stato consegnato dal segretario generale della Federazione nazionale della stampa Raffaele Lorusso, nel corso della manifestazione che si è svolta alla Casa internazionale delle donne di Roma il 15 luglio scorso. Questa la motivazione: «Per il coraggio di non cedere alla rassegnazione e alle intimidazioni di qualunque genere a fronte di un dovere etico morale a difesa della Costituzione italiana. A Donato Ungaro che per primo ha svelato la presenza della ‘ndrangheta a Brescello , insieme al regista Marco Martinelli e  Ermanna Montanari al Teatro delle Albe, nonostante boicottaggi e forme molteplici di intimidazione, continuano a portare in tournée la la pièce tratta dalla sua vicenda». Una storia che ha segnato la vita di un uomo nel suo profondo solo per aver scoperto l’infiltrazione della mafia nel paese in cui viveva. Il segretario Lorusso nel consegnare i premi ha voluto esprimere parole di stima al giornalista e agli artisti ideatori e protagonisti di “Va pensiero”, programmato nella prossima stagione al Teatro Sociale di Trento dove andrà in scena il 28 marzo 2020, scelto dal direttore del Centro servizi culturali Santa Chiara Francesco Nardelli, in collaborazione con il Sindacato giornalisti del Trentino Alto Adige Südtirol, Articolo 21, Ordine dei Giornalisti e la Procura della Repubblica di Trento (lo spettacolo sarà preceduto da un dibattito incentrato sulle infiltrazioni delle mafie anche in Trentino). Donato Ungaro testimoniando la sua gratitudine per il riconoscimento ha detto: «voglio ringraziare Marco ed Ermanna e ringraziare il  Teatro delle Albe perché se siamo qui è perché abbiamo fatto il nostro dovere, io come vigile e giornalista, e  voi come uomini e donne di teatro nell’aver portato la mia voce fuori dal buio. Io non ho fatto nulla di speciale, continua a ripeterlo, e mi sembra anche strano essere qui ma questa è una querela che avete ricevuto anche voi, utilizzata come una clava per impedire che questo spettacolo vada in scena. Io sono stato licenziato nel 2002,  ma è possibile che dopo diciassette anni questa storia faccia ancora paura? La querela vuole dirvi questo: fate attenzione a rappresentare questo spettacolo perché altrimenti querelerò anche voi (il riferimento è all’ex sindaco di Brescello Ermes Coffrini che ha presentato al Tribunale di Milano una querela a Martinelli, Montanari, allo stesso Ungaro e a Marco Belpoliti direttore responsabile di doppiozero.com, in quanto editore del testo pubblicato, ndr) ma se la magistratura confermerà quello che io avevo già detto questo conferma la verità e se il tempo è galantuomo non ci metterà tanto a venire a galla».  Marco Martinelli ha poi preso la parola per spiegare il significato del loro lavoro artistico: «Noi abbiamo sempre fatto un teatro che partiva dalla realtà e cercava nella realtà prima di tutto l’anticorpo alla noia del teatro. Quante volte abbiamo visto un teatro  noioso, astratto, lontano dalla vita di tutte le persone. Spesso sentiamo dire dalla gente che dice no grazie io preferisco andare al cinema. Invece il teatro nasce in Grecia duemila cinquecento anni fa e parla di quelle che sono le nostre contraddizioni, i nostri grandi desideri, le nostre paure. Quando abbiamo conosciuto Donato, la sua storia di un vigile urbano in un paesino chiamato Brescello, un luogo simbolico della nostra cultura italiana famoso per Peppone e don Camillo. Questo uomo si mette di traverso e comincia a dire al proprio sindaco: qui ci sono degli affari sporchi  e lui li risponde che se non la smetti io ti licenzio – racconta il regista Martinelli – E in un delirio di onnipotenza  ha licenziato un dipendente pubblico che stava facendo il proprio dovere. In un’Italia senza lavoro dove la gente lo cerca disperatamente, un italiano che rinuncia al lavoro, solo per la propria dignità, ci è sembrata una storia assolutamente esemplare da raccontare. L’abbiamo intitolata “Va pensiero”  perché abbiamo ancora la speranza che il pensiero possa resistere in un’Italia come la nostra e non sia solo il bellissimo inno di Verdi ma ci parla ancora alla nostra voglia e al  nostro desiderio di autentica democrazia».

In conclusione il regista Martinelli ha letto la scena finale da “Va pensiero” «dove tutti i protagonisti della storia si ritrovano dodici anni dopo il licenziamento del vigile urbano e ognuno di loro racconta cosa ha fatto, dove è andato. Nella nostra storia il vigile si chiama Vincenzo Benedetti perché volevamo che la vicenda avesse un respiro universale senza riferirsi alla cronaca dei fatti accaduti. Vincenzo conclude lo spettacolo dicendo queste parole: “io non sono che un vigile, uno che fa le multe. È facile prendersela con me se faccio una multa, tutti mi guardano male. Avete bisogno di fare cassa e se non la faccio mi guardano male lo stesso. Com’è che quando c’è bisogno non ci siete mai? Una volta licenziato sono andato via dalla mia città, mi sono arrangiato con diversi lavori intanto mio figlio Giovanni si è fatto grande e per fortuna Silvia mi è stata vicina anche nei momenti più bui anche quando non sapevamo come arrivare alla fine del mese. Nel frattempo ho portato in tribunale il sindaco e con lui l’intero Comune. È stata una causa lunga un’eternità in tutti questi anni. Mi sono spezzato la schiena, ho fatto di tutto, dal bracciante al conducente di autobus e ho anche pensato che tutto si sarebbe tutto insabbiato. Mi sono arrivate anche delle lettere anonime, una diceva hai perso. Cosa che è servito a fare l’eroe, il fenomeno. Sei solo uno sconfitto. Vincenzo cosa hai guadagnato oltre alla schiena rotta? Perché tutto sto casino? Non lo so il perché ma il padre di mia madre faceva parte dell’associazione braccianti di Nullo Baldini in Romagna. Poi era andato a dare manforte a Di Vittorio e i suoi contadini in Puglia all’inizio del secolo scorso. Una volta mi disse a me che ero che un bambino, il problema non è se perdi o se vinci. L’importante è tenere la schiena dritta e non essere il servo di nessuno. Si vince sempre. Anche quando si perde se si tiene la schiena dritta. Anche se è rotta. Ce la farai ma dovrei scoprirlo nel tempo. Alla fine la causa l’ho vinta perché il tribunale mi ha dato ragione. E adesso il Comune mi dovrà rimborsare ed è ed è quello che è veramente successo. Mi deve rimborsare i dodici anni di arretrati ma quello che più desidero e tornare a fare il mio lavoro di vigile in Piazza Mazzini. Sono un bel testardo».

Nel libro di Nando Dalla Chiesa Rosso mafia La ‘ndrangheta a Reggio Emilia (Bompiani) che verrà presentato sabato 27 luglio alla rassegna Le vie del giornalismo organizzato dall’assessorato alla Cultura del Comune di Castagneto Carducci viene citato anche Donato Ungaro. Scrive Dalla Chiesa: «… anche nei confronti di Donato Ungaro, impegnato a denunciare i problemi del territorio attraverso la sua seconda attività da giornalista, Coffrini espresse un atteggiamento di ostilità simile a quello mostrato verso i gestori del caffè Don Camillo (un bar di Brescello a cui fu revocata la licenza ma i gestori fecero ricorso al Tar vincendo nel 2004). Gli articoli dell’ex vigile, che prendevano di mira anche alcune scelte del sindaco, non vennero apprezzate da Coffrini, tanto che nel 2002 Ungaro venne licenziato, un provvedimento revocato però dal Tar perché considerato ingiusto. Di fatto il sindaco, forte tra l’altro della stima della cittadinanza, nega ufficialmente la presenza nel territorio di un clan ndranghetista, a dispetto delle evidenze, e inoltre assiste legalmente il boss di quel clan nelle sedi della giustizia amministrativa. In questa situazione non è difficile capire perché anche l’avvicinamento della ‘ndrangheta alla politica a Brescello sia avvenuto senza ostacoli al punto da integrare parenti di ‘ndranghetisti o soggetti presubilmente contigui alla ‘ndrangheta nella vita politica».

In conclusione Raffaele Lorusso ha voluto rinnovare le sue felicitazioni ai premiati ribadendo un concetto a cui tutta la Federazione e Articolo 21 tiene in modo particolare: «La vostra vicenda è simile a quella di tanti altri colleghi e cittadini comuni che si vedono spesso trascinati nei tribunali solo perché fanno il loro dovere. In questo Paese si sta cercando di portare sempre più avanti l’idea che si possano imporre bavagli e si possa impedire alla gente di parlare, ai giornalisti di fare il proprio dovere. Proprio per questa ragione noi siamo sempre più convinti di portare avanti la battaglia contro ogni forma di bavaglio, contro ogni forma di taglio all’editoria e all’attività giornalistica. Il nostro sostegno va anche a tutti quei colleghi che con il loro esempio, con il loro lavoro, si sforzano semplicemente di rendere migliore questo Paese e di tenere alta la bandiera della libertà e dei diritti – ha proseguito il segretario generale della FNSI –  ma vorrei ricordare anche che noi siamo intervenuti, ancora una volta, per il nostro collega e presidente di Articolo 21, Paolo Borrometi, nuovamente minacciato perché è intervenuto nella vicenda tragica e incresciosa che ha portato alla morte dei due adolescenti di Vittoria mentre giocavano in strada. Paolo ha semplicemente ricordato chi fossero le persone che hanno compiuto quell’omicidio. Ci siamo  schierati subito al suo fianco e ci costituiremo parte civile se ci sarà un processo e continueremo a farlo per tutti giornalisti e i cittadini che si sforzano nel difendere e garantire la libertà d’espressione, sancito dall’Articolo 21 della Costituzione. È un dovere di tutti e non solo della Federazione nazionale della stampa come previsto dal nostro statuto. Non più tardi di qualche giorno fa questo dovere è stato scolpito al termine di una sentenza del Tribunale di Pavia che ha condannato l’omicidio di Andrea Rocchelli. È stato riconosciuto il diritto della Federazione nazionale della stampa a costituirsi parte civile anche se il fotoreporter non era iscritto all’ordine dei giornalisti in quanto il diritto di difendere la libertà di espressione va sempre garantito».


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