Sea Watch 3, arrestata la comandante ma il vero reato è lasciar morire gente in mare

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Alla fine in-giustizia è fatta. Carola Rackete, la comandante della Sea Watch 3, è stata arrestata.
La Procura di Agrigento che coordina l’indagine sull’attracco forzato a Lampedusa ha disposto gli arresti domiciliari per la capitana che ha assunto la decisione di forzare il blocco navale, prima, e di contravvenire al divieto del governo italiano di entrare in porto.
L’accusa è di resistenza, di ‘violenza’ a nave da guerra e tentato naufragio. Il procuratore
Patronaggio ha affermato che “le ragioni umanitarie non possono giustificare atti di inammissibile violenza nei confronti di chi in divisa lavora in mare per la sicurezza di tutti”.
I giudici agrigentini oltre a emettere il mandato di arresto hanno disposto per la Sea Watch, sulla base del Dl Sicurezza bis, il sequestro amministrativo e una sanzione pecuniaria da 20mila euro che, in caso non venisse pagata nei termini, potrà arrivare fino a 50mila.
Questi i ‘fatti’ che hanno portato alla svolta giudiziaria della vicenda che si sta consumando sulla pelle di 42 esseri umani da oltre 16 giorni bloccati sulla nave della ong tedesca battente bandiera olandese.
Partendo dal presupposto che sia giusto perseguire chi commette un atto illegale, l’azione della magistratura appare quanto meno forzata. Soprattutto perché testimoni parlano di operazione di ormeggio nella norma, nessuna collisione con la motovedetta della Guardia di Finanza.
Un paradosso in un paese devastato da mafia e corruzione, che penetrano anche le istituzioni e il sistema dell’amministrazione pubblica speso impunemente, arrestare chi si rende responsabile della salvezza di vite umane in mare.
Il reato è omettere il soccorso destinandole a morte certa.
Mettere a rischio la sicurezza di migranti, forze dell’ordine ed equipaggio è stata una scelta politica. Se c’è un ‘colpevole’ di quanto avvenuto, questi non è altro che Matteo Salvini il quale ha deciso di lasciare in mare per quasi tre settimane un’imbarcazione che chiedeva un porto sicuro.
La situazione a bordo era diventata troppo critica, come hanno potuto accertare i 5 deputati italiani che sono saliti sulla Sea Watch.
La delegazione aveva parlato con la capitana che aveva manifestato la volontà di entrare in porto già ieri.
Quando il governo è riuscito a trovare Paesi disponibili ad accogliere i migranti nessuno ha dato l’autorizzazione allo sbarco. A quel punto, visto che la situazione era diventata troppo critica, la Rackete ha assunto la decisione di entrare in porto.
Un attracco per stato di necessità, come hanno sottolineato i legali della ong: è stata una decisione disperata.
La comandante Carola non aveva altra scelta, aveva dichiarato lo stato di necessità da 36 ore che le autorità italiane avevano ignorato.
Ora, assicurati i migranti agli operatori che gestiranno la loro permanenza in Italia per essere poi smistati in altri Paesi europei, non si può che attendere gli sviluppi giudiziari.
Prima o poi chi ha doveri istituzionali, di difesa della Costituzione, dovrà chiedere conto di tutto questo.
Noi di Articolo 21 lo facciamo da subito. Da sempre. Prima di tutto perché onoriamo la carta costituzionale, perché siamo italiani e ci riconosciamo nei valori fondanti alla base della nostra Repubblica sanciti dai Padri costituenti. Valori quali la solidarietà, l’accoglienza, la pace che noi non rinnegheremo mai e difenderemo a oltranza. Sempre.


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