L’informazione oltre gli stereotipi e le fake news per la costruzione di contesti inclusivi”

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Le fake news, ossia le notizie falsificate, possono essere contrastate con un lavoro scientifico corale che spunti le armi a chi volutamente avvelena i pozzi dell’informazione. Un dato che è divenuto un impegno a operare concretamente al termine del seminario “L’informazione oltre gli stereotipi e le fake news per la costruzione di contesti inclusivi” che ha visto centinaia di persone (tra giornalisti, ricercatori, studenti) riempire l’aula magna del Bo, sede storica dell’università di Padova. “Padova diventi un laboratorio nazionale – ha esortato Giuseppe Giulietti, presidente della Federazione nazionale della stampa italiana (Fnsi) – mettiamo insieme competenze diverse: giuristi, informatici, studiosi della mente e dei linguaggi. La falsificazione delle notizie è un problema della democrazia, non di una categoria o, peggio, di una corporazione”.

La giornata di studio (coordinata dal giornalista Enrico Ferri e promossa dal master interateneo delle università di Padova, Verona, Venezia, Iuav con Fnsi, Sindacato giornalisti del Veneto, Articolo 21) è stata, dunque, solo il calcio d’inizio in una partita impegnativa che deve coinvolgere sempre più giocatori, per contrastare la disintermediazione e la disgregazione della politica, come atto collettivo e consapevole di trasformazione dell’esistente a vantaggio, anzitutto, dei ceti popolari. La democrazia sostanziale, dunque, riparte dalla centralità del lavoro e dei diritti sociali, su cui si radicano e crescono gli altri diritti, altrimenti sviliti e ridotti a enunciazioni. “L’aumento delle disuguaglianze e delle povertà – argomenta Laura Nota, docente delegata dal Rettore di Padova per l’inclusione – sta aumentando la diffusione di messaggi intenzionalmente falsi che polarizzano il dibattito, spesso alimentando il contrasto tra chi vive situazioni di difficoltà. Una volta messe in circolo, non basta la verifica dei fatti, il cosiddetto fact checking, per bloccare informazioni che sono forme di manipolazione e cortine di fumo che contrastano modelli aperti e inclusivi che tendono a giustizia, solidità delle istituzioni, valorizzazione delle persone”.

L’accelerazione del fenomeno fake news si connette strettamente all’aumento esponenziale delle sollecitazioni e delle fonti informative, legato a doppio filo alla crescita delle tecnologie. “C’è un rapporto tra persona e tecnologia che va pensato in maniera dialettica – riflette Roberto Reale, giornalista e docente di Strategie della comunicazione all’università di Padova – ci sono opportunità e pericoli. Si sta affermando un capitalismo della sorveglianza, basato sull’uso dei dati. Dati che vengono messi in circolazione dagli utenti stessi e che generano contatti e traffico da cui derivano profitti per pochi soggetti”. Servono, dunque, presidi solidi a tutela degli utenti che non possono essere lasciati in balia di un mercato senza regole, incompatibile con la democrazia costituzionale. Questo sapendo che non ci sono risposte semplici o miracolose. “Non ci sono soluzioni, ma correttivi – sostiene Paolo Pagliaro, giornalista e co-autore di “Otto e mezzo”, trasmissione di La7 – tra questi l’investimento sull’informazione professionale di qualità, per cui la rete non è un concorrente, ma uno strumento in più, che valorizza i media tradizionali, cambiandone parzialmente la natura”. Certo, ci sono importanti punti di criticità. “Servono leggi e norme per contrastare l’assurda teoria della neutralità della rete – continua Pagliaro – ci sono due fenomeni da affrontare: disintermediazione e concentrazione.

La prima porta spesso la comunicazione a sostituire, spesso con strumenti monodirezionali, l’informazione. La seconda ci deve spingere a norme per contrastare l’assurda teoria della neutralità della rete, per un uso corretto dei big data con un collegamento chiaro tra algoritmi e modelli predittivi”. E l’informazione, con i linguaggi inclusivi, può essere anche una carta per il riscatto delle persone. “Una corretta informazione dal e sul carcere – esemplifica Ornella Favero, giornalista e presidente nazionale della Conferenza nazionale volontariato giustizia – può smontare i luoghi comuni e accorciare le distanze tra la “società libera” e le persone detenute”.


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