L’esempio di Simone che sfida i cantori dell’odio

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Il caso di Simone, il ragazzo quindicenne che ha sfidato la “cultura” delle principali formazioni dell’estrema destra italiana a Torre Maura, avrebbe dovuto porre tutto il mondo dell’informazione davanti all’enormità del caso, ma non mi sembra che sia andata così. Tutti sappiamo infatti che i volti e i nomi dei minori al centro di fatti di cronaca andrebbero comunque oscurati, protetti. Il chiarissimo e fortissimo confronto tra Simone e i signori dell’odio è invece apparso “in chiaro” non solo su alcuni canali televisivi ma soprattutto su tanti canali dei cosiddetti social. In passato ricordo che un reportage dal campo profughi di Lesbo era stato bloccato dalla Rai perché si vedevano i volti di tanti minori. E da quali rischi dovevano essere rischi protetti, rischi più grandi di quello che già vivono quotidianamente anche per scelta nostra? Scelta, sia chiaro, condivisa dalle nostre comunità e dai nostri governi. A quali rischi venivano esposti quei giovani di cui si chiedeva di coprire il volto con un’insistenza tale da bloccare la trasmissione di un servizio in esclusiva? Rischi tali da privarci dei diritto di vedere immagini esclusive sui rischi non ipotetici ma concreti che già vivono quei minori, per scelte condivise dalle nostre comunità e dai nostri governi. Il caso di Simone invece ha potuto “bucare” alcuni video, alcuni canali, senza che la questione venisse posta “erga omnes”. Eppure il rischio al quale Simone è stato esposto è chiaro, evidente a tutti. Lui ha sfidato in pubblico i cantori dell’odio, mica no. Lui ha fatto quello che pochi hanno osato fare a Roma. Andava protetto? Meritava protezione? La questione con ogni probabilità non si è posta in modo deflagrante perché era evidente che il suo volto era già apparso su tanti canali, sui social. Un video rapidamente diventato virale… Ma allora queste regole a cosa servono? Se un video diventa virale sui social la norma di protezione non ha più senso? Questa domanda è un po’ retorica, perché effettivamente quel volto era apparso ed era stato visto da milioni di persone. Allora però il punto non è l’inutilità della norma, che viene magari fatta rispettare quando non serve, come a Lesbo, ma come farla rispettare sui social, su canali dove milioni di utenti hanno accesso non governato da regole? Questa assenza di regole sui social toglie senso alle regole sui canali tradizionali? O obbliga a valutare come imporre le regole anche ai social?
Il problema se riguarda contatti residuali resta ugualmente, ma può essere discusso in sedi appartate, provvisorie. Ma se riguarda milioni di utenti non meriterebbe di essere posto per tutto il suo peso sociale? Stiamo parlando di un caso che riguarda un minore, ma che domani ne potrebbe riguardare cento. Se decine di minori rom apparissero domani sui social da Torre Maura cosa dovremmo fare? O meglio, cosa avremmo dovuto fare? La loro identità, la loro storia, la loro condizione, andava protetta? O bisognava considerare tramontata la possibilità di proteggerli visto che i loro volti erano apparsi sugli schermi di milioni di fruitori?
Credo che queste domande meritino di essere poste. E meritino risposte.


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