Il vergognoso attacco a Federica Angeli. Appello alla Fnsi per un dibattito sul giornalismo che verrà

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Ho riflettuto a lungo prima di intervenire. Perché penso innanzitutto che ognuno sia padrone di comportarsi come meglio crede e che nessuno abbia il diritto di dare lezioni. Neppure chi, come il sottoscritto, ha sulle spalle mezzo secolo abbondante di mestiere e qualche buon colpo. Mi dispiace soprattutto che il dibattito sia finito su una bestiaccia come Facebook, dove è quasi impossibile ragionare e dove la gente legge distrattamente, mettendo like magari più per simpatia…o antipatia, è lo stesso, che per altro. E’ successo anche a me confuso dall’amicizia con colleghi che hanno mischiato due storie totalmente diverse. E ho messo like istintivamente alla prima parte della storia perché da anni mi batto per ripristinare regole antiche e dunque non posso che essere d’accordo sui principi basilari: conoscere il territorio, stringere rapporti, mai attardarsi, rispetto assoluto. E con tutto l’affetto per il collega Piervincenzi e la sua condizione di precario, è abbastanza evidente che non ha rispettato nessuna delle regole. La colpa non è tutta sua ma di una professione sempre più “urlata”. Sono stato nei peggiori quartieri del mondo e non ho mai preso schiaffi, segno che l’approccio – ereditato dai più anziani – era più giusto. Daniele ha comunque tutta la mia solidarietà. Ma su quanto e come è cambiato il giornalismo ci vorrebbe un dibattito approfondito non certo sui social, ma magari in una sede istituzionale come la federstampa e mi permetto quindi di lanciare a tal proposito un appello al presidente Giulietti e al segretario Lorusso.
Fine della parte prima. Poi c’è la seconda che ammetto di aver sottovalutato. Non entro nella questione perché non la conosco a fondo ma un attacco così violento a una collega come Federica Angeli lo ritengo vergognoso. Ritenere la scorta un privilegio è addirittura infamante. Abito a Ostia, nello stesso territorio, e conosco bene la lunghissima battaglia che la cronista di Repubblica ha portato avanti per debellare il malaffare e so bene quello che fa quotidianamente a favore della legalità coinvolgendo tutte le persone perbene del litorale. A scapito della sua vita. Ogni volta che vedo i suoi tenerissimi bambini tremo, come apprezzo il coraggio di Lirio Abbate di cui conosco i bambolotti biondi, Paolo Borrometi, Sandro Ruotolo e di tutti gli altri che lo Stato ha il dovere di difendere. Tutti grandi colleghi e amici, come Federica, che hanno rinunciato alla propria libertà per salvaguardare quella di tutti noi. Basterebbe provarlo per capirlo. Ironizzare sulla loro vita blindata è gravissimo e ingeneroso. La delegittimazione tra l’altro è proprio un tipico sistema mafioso. Certo, loro stanno in primo piano ma credo che rinuncerebbero volentieri alla grancassa per un po’ di pace. Forse c’entra l’invidia, vecchia cancrena del mestiere dove la molla comune è l’ambizione personale (e di testata). L’ho conosciuta, questa malapianta, da vicino per il caso Farouk e per essere stato l’ultimo compagno di viaggio di Baldoni: colpevole solo, perdonatemi, di aver dato un buco. Ma non vorrei che per Federica ci fosse addirittura altro e allora prendo in prestito il testamento che quel geniale freelance mi ha regalato: “Lasciamo che siano i fatti a parlare. Il resto sono chiacchiere e politica, tutte cose da cui voglio tenermi lontano”. Aggiungo che nella mia, ahimè, lunga carriera ho sempre detto quello che penso. Figuratevi a questa età. E anche stavolta sento il bisogno di schierarmi, a costo di perdere amicizie, per un senso di giustizia. Non perdete tempo, evitate veleni gratuiti. Perderei tempo anch’io raccontando fatti e misfatti, da Platì a Kabul. Non cerco neppure applausi ma volevo solo chiarire la mia posizione e cancellare magari un like di troppo. Ognuno conosce la propria storia. C’è chi lascia tracce e chi no.


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