L’imbuto della post democrazia

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Davide Casaleggio, nell’intervista a LaVerità, ha immaginato la tendenziale fine del parlamento. Polemiche politiche prevedibili. Ovviamente, via Twitter, tanto per dare ragione di fatto alla figura di riferimento del Mov5Stelle: Casaleggio associati e associazione Rousseau sono le fonti essenziali, infatti, del potere decisionale pentastellato. Le reazioni, del resto, sono giustificate. Il rapporto tra l’uno e la folla senza mediazioni se non il click della tastiera assomiglia, mutatis mutandis, a passate avventure tragiche, laddove la semplificazione istituzionale volge non a un di più di democrazia. Piuttosto ad un di meno, fino all’autoritarismo.

Ovviamente, qui stiamo parlando di un universo tecnologico dagli esiti imprevedibili e non della storia conosciuta nell’età analogica. Ben prima delle esternazioni di Casaleggio, la mediologia aveva previsto che la rete avrebbe messo in causa l’edificio della rappresentanza. Le analisi erano dettate in diversi casi da un goffo ottimismo digitale, ma in tanti altri da una saggia preoccupazione. Un conto è arricchire la struttura istituzionale attraverso una puntuale acquisizione della capillarità della rete come “terza camera”, ampliamento creativo del sistema: intelligenza connettiva, scriveva Derrick de Kerckhove. Strumenti e opportunità tesi a migliorare le funzioni parlamentari, non già ad abolirle. Una pubblica amministrazione trasparente e on line permette alle assemblee elettive di liberarsi dal giogo burocratico per investire in procedimenti legislativi di qualità. Tra l’altro, l’informatizzazione del parlamento realizzata negli ultimi anni è importante.

Se, al contrario, si intende ridimensionare la rappresentanza surrogandola con consultazioni su una piattaforma proprietaria si cade nell’imbuto della cosiddetta post-democrazia. Da Colin Crouch (2003) a Pierre Rosanvallon (2012) numerosi autori hanno descritto i fenomeni in corso nell’occidente moltiplicati dalle culture liberiste, fondate sull’egoismo massificato e sulla competizione esasperata. La gestione da parte di pochi oligarchi come gli Over The Top del flusso dei saperi è una componente cruciale dell’involuzione in corso.

Non si scherza con la Costituzione della repubblica a base parlamentare. Ci provò Matteo Renzi rimettendoci le penne e ora è bene per il Mov5Stelle stare alla larga da simili tentazioni. Si rifletta, piuttosto, sulla disparità forte tra i votanti “fisici” e quelli che partecipano alle consultazioni in rete. Se mai, si pone il tema del ricorso alle modalità digitali per le raccolte di firme referendarie o per le proposte di legge di iniziativa popolare.

Tuttavia, al di là del dibattito suscitato da un’intervista, è bene chiarire tra chi ha ancora a cuore la sinistra che le parole di Casaleggio (prima di lui il padre e lo stesso Grillo) vanno lette in controluce. L’età berlusconiana fu appoggiata clamorosamente dalla televisione commerciale generalista, Mediaset in testa. Allora il fenomeno fu sottovalutato, non capito o pure colpevolmente agevolato. Ora, per carità, non si commetta lo stesso tragico errore con la rete. Quest’ultima è la dimensione comunicativa del millennio. Richiede regole giuste, ma soprattutto un approccio adeguato. Pubblica o privata la natura societaria di chi se ne occupa, la rete e gli algoritmi sono (siano) un bene pubblico. Qualcuno ha ricordato, a proposito della discussione, i soviet. Però, Grillo, “te lo do io Lenin”. O no?


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