Diffamazione e libertà di stampa. L’Italia nel rapporto degli osservatori internazionali

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La richiesta di osservatori elettorali all’OSCE (Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa) prima delle elezioni politiche italiane del 4 marzo 2018, presentata in particolare dal Movimento 5 Stelle, aveva provocato molto clamore. Ma gli esiti di quella visita compiuta dalla missione di valutazione elettorale dell’Ufficio per le istituzioni democratiche e i diritti dell’uomo (ODIHR) sono stati del tutto trascurati. Eppure, proprio quel rapporto, diffuso a giugno, contiene raccomandazioni all’Italia da attuare al più presto non solo in materia elettorale, ma anche nel campo della libertà di stampa, essenziale per un Paese realmente democratico.

Gli osservatori, infatti, hanno dedicato un intero capitolo ai media e hanno evidenziato che “le disposizioni penali in materia di diffamazione, calunnia e vilipendio dovrebbero essere abrogate a favore di azioni civili volte a riabilitare la reputazione danneggiata”, aggiungendo che “le sanzioni dovrebbero essere strettamente proporzionate al danno effettivamente arrecato”. Interventi da un lato semplici e, dall’altro lato, fondamentali. Da abrogare immediatamente sarebbero le norme penali sulla diffamazione che in sé hanno un chilling effect sui giornalisti e procurano, così, un danno sicuro per la collettività, che ha il diritto di essere informata, e per la democrazia. Già nel 2013, la Corte europea dei diritti dell’uomo aveva condannato l’Italia per violazione dell’articolo 10 della Convenzione che assicura la libertà di espressione (sentenza Belpietro contro Italia), in particolare perché la previsione del carcere per i giornalisti è una misura incompatibile con la Convenzione, salvo nei casi di incitamento all’odio o alla violenza. Nel 2015 – osserva la missione dell’OSCE – 475 giornalisti, in Italia, sono stati condannati per diffamazione e ben 155 a pene detentive.

Ma non solo. L’Italia non ha posto alcun argine alle querele temerarie, con richieste astronomiche, che si moltiplicano e che, soprattutto a causa della crisi economica che affligge il settore editoriale, costituiscono una spada di Damocle sui giornalisti e sugli stessi editori.

Anche qui basterebbe poco: una misura che nel caso di azioni temerarie imponga a colui che le promuove la denuncia il pagamento di un risarcimento al giornalista pari alla cifra richiesta o anche solo alla metà.

La missione ha anche evidenziato che ben 195 giornalisti sono costretti ad avere una forma di protezione della polizia a causa delle indagini su questioni relative alla criminalità organizzata. Sul punto va ricordato che la Corte europea dei diritti dell’uomo, con riferimento ad altri Stati (ma affermando un principio applicabile in via generale nell’interpretazione dell’articolo 10) ha stabilito che gli Stati sono tenuti a indagare e punire gli autori di crimini contro i giornalisti per non incorrere in violazioni dell’articolo 2. Si tratta di un obbligo che deriva dalla Convenzione e che è difficilmente conciliabile con indagini lunghe che portano alla prescrizione dei reati contro i giornalisti: una situazione che non reggerebbe il vaglio di Strasburgo.

Per il settore televisivo, la missione ha sottolineato che il sistema di nomina dei componenti dell’Autorità nazionale di regolamentazione del settore delle comunicazioni (AGCOM) rende detto organo “vulnerabile a una potenziale influenza politica, contrariamente alle buone pratiche”. Così, è stata richiesta all’Italia una revisione del sistema di nomina.

Adesso la parola passa al Governo e al Parlamento. Considerando che proprio il capo politico del Movimento 5 Stelle Luigi Di Maio aveva chiesto l’intervento degli osservatori OSCE, mostrando fiducia nell’operato di questo meccanismo, il Governo dovrebbe attuare le raccomandazioni presentate dagli osservatori internazionali. Tanto più che già altri organismi internazionali come l’ONU hanno chiesto all’Italia la depenalizzazione della diffamazione e un argine al fenomeno dello judicial harrassment nei confronti dei giornalisti con la diffusione di azioni temerarie e pretestuose, senza reale fondamento.


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