Da Roma all’Irlanda per i diritti delle donne

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A quarant’anni dalla legge 194 del 1978, che tutela e sancisce il diritto ad accedere all’ interruzione volontaria della gravidanza, il movimento femminista Non Una Di Meno ha riempito le principali piazze italiane, per chiederne il rispetto e l’attuazione. A Roma, un folto corteo ha attraversato le strade del centro, da  p.zza dell’Esquilino a p.zza Vittorio Emanuele. Nelle stesse ore, le donne irlandesi scrivevano una nuova pagina della loro storia, con la schiacciante vittoria della campagna per il “sì”, a favore dell’abrogazione dell’ottavo emendamento, che stabiliva l’equivalenza tra donne e feto. In Italia, l’anniversario della 194 non può essere una semplice festa, ma l’occasione per chiedere molto di più di una legge, che a distanza di 40 anni, resta ancora inapplicata. La media degli obiettori di coscienza nelle strutture ospedaliere pubbliche tocca il 70%, con un Nord al 63.9% e un Sud all’83.3%, una situazione che obbliga centinaia di donne a migrare da una regione all’altra, per accedere a quello che è a tutti gli effetti un diritto. Ad assicurare l’accesso all’ivg sono invece le cliniche private, che però garantiscono questo servizio a prezzi onerosissimi, rendendo il diritto all’aborto una questione di classe. L’obiezione di coscienza è una pratica che lede la libertà di scelta, l’ autodeterminazione e la salute, su cui le Regioni, coadiuvate dallo Stato, avrebbero il dovere di indagare, per consentire che una struttura pubblica garantisca tutti i servizi. Proprio per questo, il corteo romano di Non Una di Meno è stato dedicato a Valentina Milluzzo, la giovane donna morta al Cannizzaro di Catania, perché i medici che la assistevano le hanno rifiutato le cure, in quanto obiettori, dopo che era sopraggiunta una setticemia da utero aperto.

Ma la legge 194 non parla solo di aborto. Grazie a questa legge, i consultori diventavano i punti di riferimento per la prevenzione, l’educazione sessuale e l’accesso alla contraccezione di migliaia di donne. Tuttavia, anche questi spazi, tra la svendita ai privati convenzionati e la precarizzazione dei contratti, oggi sono sotto attacco. Proprio nel momento in cui ci sarebbe più bisogno di luoghi femministi e laici, si assiste invece ad un arretramento dei governi e delle amministrazioni cittadine. La minaccia di sfratto alla Casa Internazionale delle donne di Roma, un luogo storico, frutto delle battaglie degli anni ’70, è solo l’ultimo esempio.

In questi due anni, il movimento Non Una di Meno ha ribadito l’urgenza di tornare ad occupare lo spazio pubblico e di riaffermare la forza politica di tutte le donne, italiane e migranti, precarie, disoccupate, traendo linfa dai movimenti femministi globali in Argentina, Polonia, Spagna e Irlanda. La scrittura di un Piano Femminista Antiviolenza ha tracciato la strada per le battaglie future, che dovranno riguardare l’educazione e la formazione, i diritti delle donne migranti, la violenza economica, la difesa degli spazi femministi. Un Piano che aiuterà ad orientarsi in questa difficile fase storica e politica, segnata dal conservatorismo cattolico e da nuovi e vecchi fascismi.


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