Dal ventre di Napoli

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Di scena al Teatro Vascello di Roma, “Bordello di mare con città”, nuova tappa del percorso di Carlo Cerciello nella drammaturgia di Enzo Moscato, seducente e complessa

 

Allietata dalle moltiplicate Spade di Damocle che pesano sulle teste pensanti delle sue maestranze (dai conti in rosso alle minacce di sfratto, dalla latitanza delle pubbliche sovvenzioni alle tassazioni a ‘scottadito’ dei pubblici esercizi:  teatri e supermarket  stessa aliquota), del tutto ignara di quel che sarà il suo futuro (esercizio dilettevole, giornalisti di settore compresi, per signorotti e damigelle affrancati dal bisogno?), la stagione teatrale romana ha “ufficialmente” inizio per buona volontà del benemerito Teatro Vascello, fondato a fine anni ottanta dal compianto Giancarlo Nanni e dalla volitiva Manuela Kusterman, catalizzatore di una (ennesima) rassegna di drammaturgia contemporanea che si espleterà sino a fine ottobre anche nelle ‘stanze’ complementari del Teatro Tordinona.

Proveniente dal Bellini di Napoli, e suffragato da lodevoli accoglienze di pubblico, ecco quindi in scena  “Bordello di mare con città”, nuova tappa dell’itinerario di Carlo Cerciello nella drammaturgia di Enzo Moscato, indubbiamente minimale, dolente, seducente, complessa- quantunque innervata  da un contraddittorio sentimento di dignità e conflittualità fra gli umani scarti di megalopoli imbestialite .”Non debito da pagare a chi mi ha ispirato un viaggio allo stesso tempo archetipico e iconoclasta”- specifica il regista, ma “sincero omaggio”  ad  un coerente, arduo percorso, costruito di tappa in tappa, di spettacolo in spettacolo, di titolo in titolo.

Come nei precedenti “Signurì, signurì” e “Scannasurece”, Cerciello  si confronta con Moscato in una sorta di ‘corpo a corpo’ mai reverenziale o subalterno, ma direi all’insegna di un’elaborata impresa produttiva, che sarebbe stata impossibile senza il basilare sostegno  di  Elledieffe-   Compagnia intitolata a  Luca De Filippo e diretta da Carolina Rosi- e del Teatro Elicantropo,  operativo nell’ambito della distribuzione (sicchè lo spettacolo toccherà per questa stagione altre ‘piazze’ italiane).

Come segnalato dal programma di sala, Enzo Moscato scrisse “Bordello di mare con città” trent’anni or solo. Rendendosi “flaneur”, osservatore, delicato  (ma acuminato) cantore   di una città che nutriva i suoi “fiori del male” sociali esistenziali , unitamente a singoli atti di “eroismo poetico ed artistico”-  militanza nel dolore e nella pena del vivere-  ulcerati  da  ferite mai più rimarginate (seppure il tempo tutto metabolizza e rende tossico), come la tragica fine del giovane  Annibale Ruccello (grande antropologo, prima che commediografo, fra i maggiori del novecento e consustanziale alla Napoli degli “ultimi”).

Turbato nell’animo e nella lucidità di  giudizio,  Enzo Moscato – e per lui Carlo Cerciello- lascia che il ritratto del “perduto fratello d’ amorosa amicizia”   (nell’accezione di  un’importante ma dimenticata antologia poetica curata da Veneziani e Reim)  campeggi  adesso, fervida memoria, nell’effige di fotogramma tratta da “ Le cinque rose di Jennifer” (ultima interpretazione di Annibale), tramandata  nella smagliante fotografia di scena  che scattò Peppe Del Rossi a inizio anni ottanta. “Altro amico da sempre attento a cogliere i segni di un linguaggio seducente e inafferrabile”.

Chi popola, adesso, il trafelato ‘oltretomba’ sgargiante e dissacratorio in cui Moscato volle incastonare, esuberante e indomito, il “suo” Annibale? Gli spiriti, tangibili  e riottosi, di un postribolo  plebeo (ma non sguaiato),   qui  adibito “a luogo di culto popolare”,  benigno anfratto di veri e presunti miracoli operati dalla ex prostituta Assunta.

Nella prassi e dinamica scenica vissute con fermezza e rigore espressivo, Cerciello  s’impossessa della  scrittura originaria  con una sorta di  febbrile “ispirazione” che credo  essere – pur se non vidi la versione di Moscato, quindi mi è impossibile il confronto-  autonoma,  rituale, consona ad una sua nuova “architettura dello spettacolo”. Paradossale e  provocatorio sino alle soglie del teatro dell’assurdo, il bordello  (fisico e metafisico) è, in prima istanza, una vera e propria casa della memoria fantasiosa e straziata. Nella quale si inscenano  i disagi  pratici e  morali – lo spiazzamento umano e di sussistenza-  scaturito (nell’emblematico “micro-macro cosmo” napoletano: una parte per il tutto)  all’indomani dell’applicazione della  legge Merlin del (1958), donde  la necessità delle  “signorine”  di riciclarsi nei modi più disparati e disperati.

Nel suo  magma  lirico  ed onirico, l’opera di Moscato sgorga e si sublima in una sorta di oralità distillata e  a briglia sciolta,  energicamente anarchica e dionisiaca  Donde serpeggianti sospetti, rimpianti, ricordi, pentimenti, (orrende) esperienze  da cancellare o non dire- intinte “in qualche   lurido, lubrico  desiderio  da non dimenticare”.  E poi, nel  secondo atto, la vera essenza di una drammaturgia, che “si converte o si celebra” – senza  enfasi – in minuetti di   malattia, morte e delirio, lungo un impervio meandro (lo stesso che intraprende  ogni “vita ai margini”) cui la musica di Paolo Coletta offre cauto, disincantato, persino allegro sostegno.

Compito della regia, a questo punto, è superare la seduzione, la musicalità della lingua parlata (della stramba sintassi di cui Moscato è inventore), e dare ordine sparso, non cronologico, libertario  “ad un caleidoscopio di visioni ed incubi, sussulti e pensieri”, per una semantica di lemmi e cachinni    “che s’impenna e auto- disarma”:  colta, plebea, melodiosa  per merito di un eccellente  gruppo   di attrici (Imma Villa, Fulvia Carotenuto, Cristina Donadio, Ivana Maione, Sefora Russo) e del cammeo di  Lello Serao,  che pennella con misura e colore  lo sgradevole ruolo del Cardinale. Come  ‘spiritiello’ o “piccola divinità guardiana”, anche Moscato è arruolato alla scena (non so se in tutte le repliche)  in una raddoppiata presenza che tende a defilarsi, a non occupare troppo spazio.

Progenitori dichiarati dello spettacolo sono invece Genet,  Pasolini, Artaud, che lasciano in donazione a Cerchiello lo stigma di una (imprescindibile) connessione tra poesia e vita, realtà e trasfigurazione: donde ricordarsi – parafrasando  il primo dei tre- che “dentro ogni commediante esiste un martire potenziale”. Spavaldo, epico, etico, civile, com’è la stessa scaturigine guascona del vero teatro.

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“Bordello di mare con città”
di Enzo Moscato  Regia Carlo Cerciello

Con  Sefora Russo,    Lino Musella ,   Ivana Maione ,   Imma Villa,   Cristina Donadio  Fulvia Carotenuto, Lello Serao  Scene di Roberto Crea  Costumi di Alessandro Ciammarughi  Suono a cura di Hubert Westkemper
Musiche originali di Paolo Coletta  Luci di Cesare Accetta   Aiuto regia: Walter Cerrotta, Aniello Mallardo Assistente scenografia: Michele Gigi  Assistente ai costumi Concetta Nappi   Trucco: Vincenzo Cucchiara, Tecnico luci: Stefano Stacchini  Tecnico audio: Francesco Fontanella
Produzione Elledieffe, Teatro Elicantropo   Al Teatro Vascello di Roma   (e in tournée)


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