Tre anni fa moriva Riccardo Magherini, non dimentichiamolo

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Venerdì 3 marzo 2014 moriva Riccardo Magherini, a Firenze, nella sua città, in borgo San Frediano. Per la sua morte sono stati condannati dal Tribunale di Firenze tre carabinieri che intervennero in suo soccorso a seguito di alcune chiamate di cittadini residenti. Noi oggi vogliamo ricordare la morte di questo ragazzo di soli 39 anni.
Noi vogliamo fare capire che il “caso” Magherini altro non è se non la morte, violenta ed inaccettabile, di una persona. Di un essere umano.
Riccardo Magherini era il padre di un magnifico bambino, incensurato e di buona famiglia. Sottolineiamo “di buona famiglia” non perché, se non lo fosse stato, la sua morte avrebbe potuto essere più accettabile come taluni politici si sarebbero affrettati a sostenere, ma perché il nonno di Riccardo era stato un grande Carabiniere. Egli, infatti, per essersi rifiutato di togliersi la divisa ignorando l’invito del generale Badoglio, ha affrontato a testa alta la deportazione nei campi di concentramento tedeschi.
Questa era la famiglia di Riccardo. Di Guido ed Andrea e della loro composta battaglia per ottenere verità e giustizia sulla morte del loro caro già tutti sappiamo. Abbiamo imparato a conoscerli, a voler loro bene.
Riccardo non aveva mai fatto male a nessuno ma, quella maledetta sera del tre marzo, era in grave difficoltà emotiva e psichica.
Aveva paura ed era in continua e disperata ricerca di aiuto.
Temeva per la sua vita. Aveva paura che qualcuno gli facesse del male e scappava, scappava, scappava. Aveva preso di mano un cellulare a qualcuno perché aveva perso il suo e voleva chiamare la polizia.
Di fronte ai Carabinieri che nel frattempo erano arrivati, si era inginocchiato chiedendo aiuto. Li aveva persino abbracciati.
Quell’intervento di soccorso richiesto da tutti i cittadini che li avevano chiamati si è poi trasformato in un arresto insensato terminato con la voce rotta di Riccardo che supplica aiuto e che dice di chiamare l’ambulanza perchè aveva un bambino che lo aspettava a casa. Quelle parole dette con quella voce sono le ultime vitalità di quel ragazzo che muore, steso a terra, prono e con la faccia sull’asfalto mentre viene sovrastato dai militari operanti.
Non possiamo accettare che una persona che si possa trovare in difficoltà emotiva e psichica debba subire un trattamento quale quello inflitto a Riccardo Magherini.
Per questo ci sono state le condanne.
Ma non possiamo accettare che questo processo venga strumentalizzato politicamente da coloro che lo vogliono faziosamente interpretare come una guerra contro l’Arma.
Noi siamo affianco alla famiglia Magherini proprio perchè abbiamo profondo rispetto per l’Arma esattamente tanto quanto lo hanno loro.
Prova ne sia il fatto che, il 10 aprile, al processo d’appello, ci sarà con loro anche la procura generale per tutelare lo Stato dì Diritto.


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