Ventimila detenuti che fanno lo sciopero della fame sono o no una notizia?

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L’avere in tasca un tesserino rosso non fa, per questo, nessuno di noi dei veggenti, nessuno di noi ha la palla di cristallo che consente di “vedere” il futuro. Il presente, però sì: dovremmo cercare almeno di fotografarlo; di  raccontarlo riferendo fatti, quello che accade. Perché questa premessa? Non certo per rimproverare a nessuno la “sorpresa” delle elezioni presidenziali negli Stati Uniti d’America, anche se, forse, molti di noi avrebbero dovuto superare pigrizie, e non limitarsi ad ascoltare il professore della Columbia o il giornalista del “NYT”; non sarebbe stato male oltrepassare il Washington Bridge, e dare un’occhiata un po’ più in là, verso Ovest. Ma questo è discorso che rischia di portarci lontano, anche se prima o poi si dovrà fare qualche riflessione sul fatto che spesso ci accade di vedere non quello che è, ma “solo” quello che vogliamo (e ci piace) vedere.

Per il momento resto a qualcosa a noi più vicino, senza andare là: in quel continente “strano”, e non facile da comprendere anche da chi ci vive da anni e anni. Volto la testa verso quello che è accaduto domenica 6 novembre.

Quella mattina, giornata che, nell’ambito delle celebrazioni dell’Anno Santo, papa Francesco ha dedicato ai detenuti e alla più vasta comunità penitenziaria, un corteo parte dal carcere romano di Regina Coeli e si conclude a piazza San Pietro. Quella marcia, organizzata dal Partito Radicale Nonviolento Transnazionale Transnpartito è esplicitamente intitolato a papa Francesco e a Marco Pannella; chiede “Amnistia, Giustizia, Libertà”, e vi ha aderito un ragguardevole numero di personalità di ogni filone e formazione politica.

Oh, sì, giornali e TV ne hanno parlato. Hanno intervistato qualche marciatore eccellente, qualche volto non sconosciuto; ne hanno raccolto una manciata di dichiarazioni; e poi hanno riferito delle parole di quel papa venuto “da quasi la fine del mondo”: parole di clemenza, misericordia, appello a dare una ulteriore chance a chi ha dimostrato con i suoi comportamenti, di aver intrapreso una strada di recupero, consapevolezza, riscatto. Bene. Poi? Poi nulla. E c’era da riflettere, invece su alcune cose che cerco di riassumere e portare all’attenzione di tutti noi. Per esempio: per la prima volta viene consentito ad esponenti di un partito politico di poter arrivare a piazza San Pietro. Il Vaticano, insomma, autorizza i radicali a “entrare” nella piazza con il suo striscione, slogan e simbolo compreso. Che succede?

La composizione di quel corteo: ci sono le bandiere delle ACLI, ma anche quelle della Comunità di Sant’Egidio; ha aderito Libera, una quantità di associazioni cattoliche impegnate nel sociale, e una valanga di sacerdoti, frati, suore; gomito a gomito con i “mangiapreti” e gli anticlericali radicali. Ognuno fermo nei suoi valori, ma convergenti in quella che il direttore dell’“Avvenire” Marco Tarquinio definisce “voluta stereofonia”, nella risposta a una lettera aperta inviatagli da un gruppo di dirigenti radicali. “Siamo stati attenti a tante vostre iniziative e denunce in tema di carcere. Come potremmo non esserlo anche stavolta?”, scrive Tarquinio. Non vale la pena di rifletterci un momento, su questa stereofonia, cominciata trent’anni fa, con le prime marce pasquali contro lo sterminio per fame e sete nel mondo? Ieri la fotografia che ritrae Karol Wojtyla, Pannella, Emma Bonino; oggi lo striscione radicale mentre a parlare e Jorge Bergoglio. Vaticanisti, ci siete? Battete un colpo…

Torniamo a Francesco. Ha detto quello che ha detto, e quella mattina un lungo, grande applauso. Lo stesso applauso tributato a Wojtyla, quando dentro l’aula di Montecitorio invoca un gesto di clemenza. Dopo l’applauso? Niente, finita lì. Se si plaude a qualcosa, ci si attendono poi comportamenti coerenti e conseguenti. E invece? E commentatori, editorialisti, osservatori di questo e e quello? Un embrione uno di dibattito sulla situazione della giustizia, il carcere, quello che si fa e si è fatto, o non si fa e non si è fatto…Niente.

Quel giorno, e il giorno prima, accade anche un’altra cosa: a un digiuno intrapreso da Rita Bernardini, Irene Testa, Paola Di Folco e Maurizio Bolognetti per chiedere la semplice calendarizzazione del pacchetto di riforme sulla giustizia annunciate dal governo Renzi, da tutte le carceri d’Italia, si uniscono i detenuti. Non cento, cinquecento, o mille, che pure sarebbe una notizia. Digiunano in ventimila. Capito? VEN-TI-MI-LA. Su cinquantaquattromila detenuti. Ventimila “chissà-chi”, “colpevoli di chissà-cosa”, responsabili (o magari molti “non responsabili”) di chissà quali crimini, e magari tra loro anche mafiosi, camorristi, quello che vi pare, che per 48 ore imbracciano lo strumento classico del nonviolento: il digiuno; e chiedono – loro! – che lo Stato faccia quello che deve per rientrare in quella legalità che viola da mesi, da anni, condannato ripetutamente dalle Corti di Giustizia Europee.

E’ esagerato paragonare questa manifestazione di nonviolenza di massa alle famose marce di Gandhi o di Martin Luther King? Qualcuno può dire se ha memoria di qualcosa del genere, in Italia e fuori dall’Italia? Eppure non ne ha parlato nessuno. Solo un filosofo, Aldo Masullo, ha colto sul “Mattino” di Napoli la portata di questo evento, e ne ha scritto con parole che ci dovrebbero tutti far riflettere. Per il resto… Comprendo che nelle redazioni sempre più si dà la caccia neppure più a “notizie” interessanti, devono essere “divertenti”; ma a forza di scompisciarci dalle risate i giornali stanno morendo, e i notiziari televisivi, con tutta la loro “allegria” non è che se la passino meglio…

Riassumo: una marcia dove il “diavolo” radicale e “l’acquasanta” del mondo cattolico, si “trovano”; un “accesso” sorprendente a piazza San Pietro; uno digiuno di massa nelle carceri che coinvolge ventimila persone, con gli elenchi dei partecipanti che nei prossimi giorni verranno portati in “dono” al presidente Mattarella, al pontefice, al ministro della Giustizia Orlando… E il presidente della Repubblica che qualche ora fa telefona a Bernardini per ringraziarla, per tutto quello che lei e gli altri stanno facendo.

Infine, un’ultima notazione: il digiuno di massa di ventimila detenuti viene completamente ignorato. Se al contrario due detenuti, e non ventimila, per una qualunque ragione, sequestrano un agente di polizia penitenziaria e minacciano sfracelli, ecco servizi televisivi e articoli a non finire. Ora ditemi: un  detenuto che vuole dare amplificazione a una sua rivendicazione, a quale dei due comportamenti viene “naturalmente” spinto? E non c’è una nostra responsabilità, precisa, dal momento che il comportamento violento lo trasformiamo in “notizia”, mentre quello nonviolento regolarmente lo mortifichiamo e non lo sappiamo neppure vedere?


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