#Svergognati. Violenza sulle donne, Giulietti: “aiuteremo Carla Caiazzo a ricostruire la sua identità”

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Prima iniziativa di FNSI e SUGC: attiviamo un crowdfunding

Sapere di essere viva e non ritrovare sé  stessa nell’immagine riflessa nello specchio. Sentire che i lineamenti della propria identità sono stati annullati. E poi scoprire che le istituzioni non sono preparate ad affrontare con te un dramma così grande. Per Carla Caiazzo è così. La sua vita da sopravvissuta alla terribile violenza dell’ex compagno, che l’ha sfigurata dandole fuoco mentre era incinta, l’ha raccontata in un collegamento telefonico, con poche e semplici parole, al presidente della Fnsi, Giuseppe Giulietti e ai giornalisti presenti all’incontro pubblico organizzato dal Sindacato unitario dei giornalisti della Campania (Sugc).

“Guardarsi allo specchio e non riconoscersi è la cosa più difficile da affrontare” dice nella giornata internazionale contro la violenza sulle donne, con la forza d’animo e la fragilità di chi non riesce ancora a confrontarsi con lo sguardo della gente, e riconosce questo limite giustificando la sua assenza imprevista. “Mi scuso per non essere lì presente in una giornata così importante, ma ho ancora dei limiti a stare tra la gente, vincerò anche questa battaglia. E’ difficile – spiega – perché è una cosa che dovrò superare io. Per quanto potrò migliorare il mio aspetto estetico, è una cosa interiore quella che devo affrontare, infatti, sto facendo dei sacrifici enormi tutti i giorni. Sono viva ma sono stata uccisa comunque“. Poi il suo appello affinché le istituzioni prevedano un sostegno economico per lei e le donne come lei, che ripropone la riflessione sulla mancanza di una rete territoriale, assistenziale e di tutela adeguata e ben organizzata. Un sostegno che garantisca in questi casi eccezionali di lungo calvario, la possibilità di affrontare interventi normalmente sono classificati come estetici (21 Carla li ha fatti, ma dovrà farne altri 25). La donna e il suo legale, Maurizio Zuccaro, chiedono il riconoscimento del reato di omicidio d’identità “perché l’idea ‘Io ti lascio viva, ma ti ammazzo’, è un omicidio d’identità – sottolinea l’avvocato – A questi soggetti, bisogna impedire l’accesso ai benefici penitenziari, e i reati di femminicidio dovrebbero essere sottratti al rito abbreviato”. Alla richiesta di diffondere il suo messaggio il presidente Giulietti ha assicurato che sarà fatto “di tutto per favorire il suo percorso di ricostruzione dell’identità”. E in attesa che anche l’Italia si doti di un fondo di sostegno per vittime di violenza di genere, utilizzando la piattaforma Meridonare della Fondazione Banco Napoli, sarà attivata una raccolta di fondi per Carla Caiazzo da parte della Fnsi e del Sugc.

L’incontro dibattito #Sevrgognati – femminicidio e violenza sulle donne: tra comunicazione e informazione, la responsabilità delle parole, organizzato con la Commissione pari opportunità del sindacato campano, ha concentrato l’attenzione sulla forza delle parole contro la violenza sulle donne come strumento di prevenzione. Perché c’è molto da lavorare per correggere l’impostazione di una cultura che ha condizionato il nostro linguaggio favorendo vecchi stereotipi, ambiguità e un eccesso di declinazione al maschile dell’italiano. Aspetti che si ritrovano anche nei contenuti dell’informazione e della comunicazione pubblica, e che non permettono una giusta rappresentazione dell’evoluzione e del valore delle donne della nostra società. Qualche volta il linguaggio utilizzato sembra persino giustificare chi compie violenza. “Dovremmo imparare tutti a metterci dalla parte delle vittime quando si racconta di donne vittime di violenza. L’informazione – ha affermato Giulietti – in questi casi si comporta in maniera difforme. C’è chi segue con attenzione e stile tutelando l’autonomia delle persone e chi la segue con distrazione, talvolta con l’incapacità di comprendere il dramma.

Non basta raccontare l’episodio, occorre contestualizzarlo e far capire come nasce la violenza, quali sono i linguaggi e i comportamenti sbagliati e costruire attorno a queste persone un muro di solidarietà. E c’è poi il problema di usare un linguaggio e una comunicazione che impedisca che altre donne cadano in episodi simili. Spetta a tutti noi contrastare il linguaggio dell’odio, della discriminazione, del sessismo”. Una richiesta in questo senso è venuta anche da Lella Palladino, consigliera nazionale dell’associazione DiRe, tra i promotori della manifestazione Non una di meno. “Dopo il 26 novembre bisogna evitare che accada ciò che accade di solito. E’ il tempo di smetterla di essere da sole e di essere lasciate da sole. E’ importante lavorare sul linguaggio e c’è ancora molto da rivedere per dare forma a una nuova cultura. In questo, il ruolo dei giornalisti è molto importante, senza l’informazione questo percorso è zoppo, ma anche il linguaggio dell’informazione oggi non è abbastanza rispettoso dell’identità e del ruolo delle donne”.

“La nostra responsabilità – ha affermato Claudio Silvestri, segretario del Sugc – è quella delle parole. Ciò che dobbiamo innescare è un meccanismo virtuoso nel quale cerchiamo di comunicare le parole giuste per capire quale è la strada. Come succede nelle famiglie, per l’educazione dei bambini. È fondamentale eliminare dal nostro vocabolario le parole di violenza e discriminazione nei confronti delle donne”. “Denunciare subito è importante e lo consigliamo a tutte le colleghe vittime di aggressione e stalking” dice Ottavio Lucarelli presidente dell’Ordine dei giornalisti della Campania. “Il femminicidio- rimarca Lidia Galeazzo, giornalista del Tg2 – è un problema culturale e noi come giornalisti abbiamo un ruolo culturale, non solo perché raccontiamo i fatti ma per come raccontiamo la verità, in un Paese che ha abolito il delitto d’onore nel 1981. La nostra cultura è talmente intrisa di stereotipi associati a determinati termini che non ci accorgiamo del male che possiamo fare. Quindi questa presa di coscienza va fatta”. Ripensa alle parole di Carla Caiazzo e a  Lucia Annibali Carlo Verna consigliere nazionale dell’Ordine dei giornalisti, e osserva: “Credo che qui sia in ballo una cosa che si chiama umanità, è agghiacciante che un uomo possa pensare di cancellare l’identità di una donna”.

Quanto all’italiano, ricorda che nella preghiera Salve Regina si dice “Avvocata nostra, mia moglie viene chiamata sempre avvocato, mi sembra che a volte torniamo dietro su cose che sono acquisite anche dalla Chiesa secolare”. Tra diritto di cronaca, libertà di stampa, limiti fissati per legge e comunicazione pubblica delle Procure per la tutela delle fasce deboli, prevenire e contrastare il femminicidio significa considerare “il fondamento giuridico del ruolo sociale dell’informazione. Ovvero l’articolo 17 della Convenzione di Instanbul” ha detto la sostituta procuratore della Procura Napoli Nord sezione Tutela fasce deboli, Diana Russo, ricordando l’importanza della caratteristica della essenzialità dell’informazione. Inoltre, per smontare l’ecosistema dell’odio e del contrasto esasperato dalle parole la testimonianza di Luciana Esposito, giornalista di Neapolitan.it, minacciata e aggredita fisicamente e verbalmente, sottolinea l’importanza di “evitare la spettacolarizzazione delle violenze e la drammaticità delle emozioni, perché vuol dire svilire e speculare sul dramma della persona”. Quando mi intervistano, spesso, più che capire in che modo si è sviluppata l’intera vicenda mi vengono chiesti particolari dell’aggressione, quanti cazzotti ti hanno dato, quanto ti hanno tirato i capelli”. Claudia Marchionni, giornalista di Matrix, ha testimoniato che nel corso degli anni ha notato “una maggiore attenzione e una maggiore curiosità da parte dei colleghi e una voglia di capire che mi sembra positiva. Io non credo nel valore educativo del mestiere del giornalista, dell’avvocato, del magistrato. Ognuno faccia il suo lavoro bene e se ci riusciamo ci saranno anche altre conseguenze.

Penso sia molto importante l’uso delle parole, perché le parole che scegliamo possono cambiare il modo di pensare di chi ci legge e ascolta. Una cosa fondamentale per le donne, secondo me, è applicare tolleranza zero e non sottovalutare nessun segno, nessun comportamento, nessuna parola di violenza e mancanza di rispetto”. Carmela Maietta de Il Mattino nell’analisi fatta del linguaggio utilizzato in alcuni articoli su femminicidi, ha fatto riferimento a un dato storico “la prima volta che si è parlato di femminicidio come uccisione di una donna da parte di un uomo in quanto donna è stato nel 1801 in Inghilterra. Non basta solo la sensibilità per scrivere di femminicidio e violenza sulle donne, bisogna essere preparati ed avere adeguati strumenti linguistici”. Intanto, per continuare a lavorare sul linguaggio e il vocabolario, i giornalisti non partono da zero e venerdì scorso, a Napoli, è stato distribuito il libricino “Donne, grammatica e media. Suggerimenti per l’uso dell’italiano” pubblicato dalle giornaliste di GiULiA.


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