Caso Regeni, astensione su voto Onu per Egitto in Consiglio Diritti umani segnale importante

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A nove mesi dal ritrovamento del corpo di Giulio Regeni lungo la strada dal Cairo ad Alessandria, la sua morte resta una ferita aperta per l’Italia. E l’astensione della rappresentanza italiana all’Onu nell’elezione per un posto nel Consiglio dei Diritti Umani, a cui era candidato l’Egitto, è un segnale chiaro di insoddisfazione e fastidio per l’atteggiamento delle autorità e degli inquirenti egiziani sul caso Regeni.
La decisione è stata presa su precisa indicazione della Farnesina, che l’ha anticipata a tutti i più rilevanti attori
coinvolti.
D’altronde i 47 membri dell’organismo sono eletti a scrutinio segreto.
Creato 10 anni fa per lavorare a stretto contatto con l’Unhcr, la composizione del Consiglio si basa sul principio dell’equa distribuzione geografica: 13 Stati sono africani, 13 asiatici, 8 latino-americani, 7 dell’Europa occidentale, 6 di quella orientale.
I membri restano in carica tre anni e non sono rieleggibili.
Il ‘non voto’ italiano non ha però impedito al Cairo di entrare comunque nel Consiglio, essendo i candidati africani solo quattro.
Ma la decisione ha un alto valore simbolico perché, si sottolinea dalla Farnesina, presa in “coerenza con la posizione italiana sul caso Regeni”.
A ribadire la frustrazione del governo per come le autorità egiziane continuano a gestire le indagini sull’omicidio del
ricercatore italiano era stato il ministro degli Esteri Paolo Gentiloni qualche giorno fa.
“Per noi è una ferita aperta”, aveva detto il capo della diplomazia italiana durante un incontro a Roma con gli studenti dell’università Luiss. E,
nonostante i “segnali di speranza da parte delle autorità giudiziarie egiziane” lo scorso settembre, l’Italia “non può ritenersi soddisfatta”.
Segnali emersi dopo il vertice nella Capitale il 9 settembre scorso, tra i magistrati italiani ed egiziani che erano stati interpretati come una volontà di collaborazione da parte dell’Egitto. Allora, fonti giudiziarie della Procura di Roma avevano espresso ottimismo parlando di un salto di qualità nelle indagini e di un nuovo capitolo nei rapporti con il Cairo. Ma la svolta auspicata non c’è stata.
Per questo, ha ricordato nelle ultime ore Gentiloni, l’Italia ha ritirato l’ambasciatore in Egitto (all’epoca Maurizio Massari), non ha ancora presentato le credenziali del nuovo rappresentante, Giampaolo Cantini, e quando si è trattato di scegliere la composizione di un Consiglio delle Nazioni Unite creato per promuovere e difendere i diritti umani del mondo, Roma non ha votato l’Egitto.
la Farnesina ha voluto far filtrare anche qualcosa di più. L’astensione della rappresentanza italiana presso le istituzioni dell’Onu a New York non è stato solo un segno di protesta per il caso Regeni, ma anche una scelta politica, non ritenendo che l’Egitto avesse i requisiti per poter entrare nell’organismo che ha sede a Ginevra.
Nonostante l’opposizione di Roma, il paese africano ha comunque raccolto abbastanza voti per sedere nel Consiglio che ha l’obiettivo di promuovere i diritti umani e denunciarne le violazioni.
Lo scorso 28 ottobre l’Assemblea generale ha eletto 14 membri in Consiglio. Oltre all’Egitto, avranno uno scranno Arabia Saudita, Brasile, Cina, Croazia, Cuba, Giappone, Iraq, Regno unito, Stati uniti, Sudafrica, Tunisia, Ungheria.
Tra questi più di uno non brilla per il rispetto dei diritti fondamentali dell’uomo.
Ogni volta che entrano nell’organo Onu Stati che perpetrano violazioni sia dentro che oltre i propri confini, non mancano denunce e polemiche.
Ma poi nulla cambia. Mai.
L’Egitto, in un mondo normale, non
potrebbe nemmeno candidarsi a far parte del Consiglio per i Diritti Umani.
Nelle ultime settimane il regime di Fattha al-Sisi, oltre ad attuare continue repressioni, è stato accusato da Human rights watch di nuovi casi di tortura che hanno coinvolto persino dei minorenni.
Nei mesi scorsi centinaia di giovani che si erano radunati per manifestare in piazza Missaha, nel quartiere cairota di Dokki, sono stati fermati dalla polizia dopo che la folla di dimostranti era stata dispersa con lancio di lacrimogeni.
Gli attivisti hanno denunciato anche l’uso di cartucce caricate con pallini. Altri arresti sono scattati in un’altra zona del centro della capitale, vicino alla sede del sindacato dei giornalisti, una delle più presidiate dai servizi di sicurezza.
Intanto in Italia non si fermano le iniziative per chiedere verità e giustizia per Giulio.
I genitori del giovane ucciso al Cairo, Paola e Claudio Regeni hanno ribadito più volte l’importanza di andare avanti con la campagna promossa da Amnesty. Insieme. Per Giulio e le altre vittime del regime e tutti i decaparecidos d’Egitto di cui non conosceremo mai il destino.


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