Donne di mafia a Latina

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Se una trentenne di belle speranze diventa l’amante di un uomo di mezza età dalle ottime credenziali economiche si può aspettare qualche telefonata arrabbiata della di lui consorte. Ma se il signore borghese ha una moglie che di cognome fa Licciardi le cose si possono complicare al punto da diventare oggetto di un’indagine per stalking, dove le stalker sono due e sono femmine, per l’esattezza la moglie e la figlia del traditore.  Ed è così che si va oltre il semplice gossip di provincia, perché questa storia è scritta dentro un’ordinanza di custodia cautelare ai domiciliari emessa dal gip del Tribunale di Latina nei confronti di Patrizia Licciardi, 48 anni, e Cristina Marano, 25 anni, entrambe accusate di aver letteralmente perseguitato la giovane amante di Eduardo Marano, facoltoso commerciante di Terracina considerato affiliato al clan Licciardi per legame acquisito tramite la  moglie e al quale la Guardia di Finanza di Latina lo scorso dicembre ha sequestrato 1,7 milioni di euro tra beni e conti correnti ritenuti frutto di attività illecite. I Marano-Licciardi secondo ricostruzioni investigative sono rappresentanti di una cellula di camorra a Terracina, dove comunque gestiscono attività economiche da anni.

La vendetta sentimentale di moglie e figlia di Marano è degna, effettivamente, della peggior specie di intimidazione di stampo camorristico per quanto non c’entri nulla con quei reati, ma sia <solo> la risposta arrabbiata di una moglie tradita, per di più con una donna più giovane. Sta di fatto che la ragazza è stata letteralmente perseguitata, minacciata, invitata a suon di insulti a lasciare per sempre la sua città, Terracina, e per questo alla fine la vittima dello stalking andato avanti per settimane si è decisa a presentare formale denuncia alla polizia. Il più classico dei tradimenti coniugali è diventato in tal modo lo specchio di quanto contano le donne nello scacchiere della criminalità in provincia di Latina, sempre più forti, sempre più presenti, le vere pedine che contano, temibili, spesso prive di scrupoli e freni, le più autentiche espressioni di come si difende un territorio sia esso <di famiglia> o economico.

Appena quattro giorni fa è ricominciata la guerra che sembrava sopita tra le famiglie Ciarelli e Di Silvio a Latina: botte, insulti, inseguimenti. E le protagoniste sono state le donne: la delegazione di rappresentanza di una delle due famiglie è andata a chiedere conto all’altra alle 9 di mattina, poi la rissa furibonda. In apparenza, anche qui, si trattava solo di risolvere un problema economico legato all’affitto di un appartamento, ma in realtà lo scontro ha avuto un tenore tale da mobilitare tutta la squadra mobile della questura e si ipotizza quindi che, di fatto, si sia rotto l’equilibrio faticosamente raggiunto tra i due gruppi che, come provano due sentenze, controllano usura e droga nel capoluogo pontino. L’evoluzione nella gestione della malavita organizzata locale si sta portando dietro una sorta di predominio femminile, l’emancipazione che non ti aspetti dal capoclan che fino a ieri era un maschio. A rompere per prima ogni indugio era stata Rosaria Schiavone, potente e spietata, soprannominata la Sfinge, nome poi attribuito anche al processo che la vede protagonista per fatti avvenuti tra il nord della provincia di Latina, Anzio e Nettuno.

E’ la figlia di Carmine Schiavone, il collaboratore di giustizia che ha svelato i nomi di ditte e imprenditori che hanno interrato rifiuti tossici tra Lazio e Campania, poi morto in circostanze perlomeno anomale. Ma Rosaria Schiavone il padre lo ha rinnegato, probabilmente proprio per quel suo pentimento e per le rivelazioni fatte ai magistrati. Non è l’unica ad anteporre la ragione economica a quelle sentimentali: Katia Bidognetti dal suo buen retiro di Formia continua a difendere strenuamente il padre Francesco, detto ‘cicciotto mezzanotte’, l’uomo del clan dei casalesi che per primo ha fiutato (negli anni 90) il grande affare dei rifiuti tossici. Alcune delle sue donne lo hanno tradito, l’ultima compagna, Anna Carrino, ha fatto importanti rivelazioni alla  Giustizia. Il vero punto forte a suo favore è sempre rimasta Katia, oggi residente a Formia, dove coltiva solide amicizie e conduce una vita degna di una donna potente. Il marito, Giovanni Lubello, considerato anche lui un uomo del clan ma in realtà sempre in ombra rispetto alla consorte, è stato arrestato proprio a Formia, città dove lei è conosciuta e <rispettata>. Ma non è l’unica lady di camorra in quell’area: c’è chi pur conservando potenza e prestigio ha scelto un più basso profilo, è il caso di Erminia Giuliano, conosciuta come Celeste, sorella di Luigi Giuliano, già capo dell’omonimo clan di Forcella, immigrata a Formia dove se ne sta in una piccola casa di periferia senza dare nell’occhio. Ma il suo nome è tornato alla ribalta quando il nipotino di appena 18 anni ha accoltellato uno spacciatore in pieno centro a Formia e gli investigatori andando ad analizzare il certificato di famiglia si sono trovati davanti lei, nonna Celeste, che già si stava occupando di trovargli un bravo avvocato.


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