Lettera ad un Giudice di Paolo Saggese  (racconto fantastico sulla corruzione)

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La penna delicata e leggera di Paolo Saggese ci racconta una vicenda avvenuta in un’altra galassia, cose dell’altro mondo. La Repubblica dei Pomodori è collocata su un altro pianeta ed è popolata da alieni, Zecchinetta, Pococurante, il Capo dei Piedi Neri, Ursus. Il merito dello scrittore è quello di aver inventato un mondo fantastico, che, tanto più è distante da noi, tanto più assomiglia al nostro mondo, con i nostri difetti, le nostre passioni negative, le nostra (rare) virtù, la nostra assenza di spirito civico.

Le degenerazioni dello spirito pubblico, lo sfaldamento del legame sociale, il predominio degli egoismi organizzati in corporazioni, la trama di una corruzione generalizzata, emergono attraverso la vicenda di un concorso per dirigenti pubblici, che fa da cartina di tornasole dei mali della Repubblica dei Pomodori. Ci annuncia che le istituzioni (non le nostre, quelle della Repubblica dei Pomodori) sono affette da gravi patologie, di cui il protagonista della vicenda si renderà conto a sue spese, come il Candido di Voltaire, con l’amarezza della disillusione. Candido-Saggese in questo racconto fantastico scopre che Pangloss lo ha crudelmente ingannato quando gli diceva che al mondo tutto andava per il meglio. Scopre che le virtù dell’honeste vivere, della serietà degli studi, dell’impegno sociale, sono dileggiate e calpestate e che nella selezione di quelli che devono andare più avanti la virtù soccombe al vizio, grazie alla prepotenza organizzata dei clan e delle tribù. Tanto che nel suo animo si insinua un tarlo che gli ricorda l’aforisma di Corrado Alvaro:  la disperazione più grave che possa impadronirsi di una società è il dubbio che vivere onestamente sia inutile!

E’ un dubbio che Candido disilluso scaccia dalla sua mente, ribellandosi alla legge dell’abuso e rivolgendosi ai giudici. Ma anche la sua fiducia che un giudice-salvifico possa ristabilire l’ordine della giustizia è destinata ad infrangersi. Fra codici e pandette, il discorso formale del giudiziario segue un binario separato da quello della giustizia, intesa non solo come legalità ma come valore. Due binari separati, come due rette parallele, destinate ad incontrarsi all’infinito.

Certo questo racconto non parla di noi, dei mali del nostro vivere civile e non è fondato su un’esperienza vissuta. Ma la sua forza sta nella fortissima verosimiglianza fra le vicende fantastiche che avvengono nella Repubblica dei Pomodori, con le vicende reali con le quali tutti noi ci confrontiamo e scontriamo quotidianamente, accumulando frustrazioni  o confidando in una giustizia salvifica, destinata inevitabilmente a deluderci. E tuttavia, malgrado l’amarezza del protagonista, questo romanzo non è il racconto di una sconfitta, ma la testimonianza che è possibile opporre la dignità al servilismo, la competenza all’ignoranza, la fede nella legalità e nella giustizia alla logica dell’opportunismo e delle caste.

A noi lettori rimane il compito arduo di trarre una lezione da questa vicenda che Paolo Saggese ci ha raccontato in modo così delicato, come una volta si faceva con i romanzetti morali. La corruzione sarà anche un vizio morale, ma quando in una società è generalizzata e penetra profondamente nelle istituzioni, allora è un problema politico, che la politica può affrontare e contrastare, senza bisogno di ricorrere al tintinnio delle manette.

In realtà la corruzione è una forma di sviamento del potere dai suoi fini pubblici. E’ un uso privato dei poteri pubblici, è l’assoggettamento a fini ed interessi privati dei poteri che sono stati istituiti per realizzare un interesse della collettività, di norma garantito dalla Costituzione. Quanto più l’esercizio del potere è arbitrario, quanto più è privo di controlli, tanto maggiore è il rischio di abusi e di corruzione.

Per questo, a suo modo, questo racconto ci mette in guardia  da sviluppi anche recentissimi delle regole che organizzano la nostra sfera pubblica, specialmente nel settore – di fondamentale importanza nel nostro paese – della scuola pubblica. La “buona scuola” che il governo Renzi ha regalato al nostro paese, con la sua logica aziendale di privatizzazione dei poteri dei dirigenti, non è forse una forma di istituzionalizzazione del clientelismo, non costituisce un riconoscimento legale della filosofia che in questo romanzo guida  il Capo dei piedi neri, con la sua allegra combriccola di Zecchinetta, Pococurante e soci?

Ai posteri l’ardua sentenza.


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