Il blogger Alaa Abdel Fattah, condannato a 15 anni di reclusione per aver partecipato a una “manifestazione non autorizzata”

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Il vecchio adagio dice “aiutati che Dio ti aiuta”. E oggi il principale aiuto che gli arabi possono darsi è l’insurrezione popolare contro gli assassini dell’Isis. Da questo punto di vista è confortante la notizia che  Rafi Abdul Karim Al-Fahdawi, capo della potente tribù degli  Albufahd nell’Anbar, abbia dichiarato: “le tribù dell’Anbar stanno costituendo la Lega dei Virtuosi” per combattere l’Isis.  Se questo è l’aiuto indispensabile dal fronte interno c’è poi quello che indica  Gilles Kepel dal mondo musulmano europeo, nelle cui frange più estreme il grande studioso ritiene che le immagini della cremazione in vita del pilota giordano Muaz Kassabe possano aver prodotto sorpresa, rifiuto.

Mentre questo decisivo fronte incalza ne permane un altro,  quello nel quale  i regimi golpisti tentano di far passare all’ombra del trauma jihadista un’operazione  di criminalizzazione della Primavera araba e della sua richiesta di democrazia. A pagare il prezzo del tentativo di criminalizzare la Primavera sono ovviamente i suoi padri, cioè i giovani giornalisti, fautori della libertà di espressione e della fine delle leggi speciali imposte ai loro paesi dagli anni Settanta.

Uno dei più importanti attivisti e blogger egiziani, Alaa Abdel Fattah (nella foto), è stato condannato recentemente a 15 anni di reclusione e a una pesante ammenda per aver partecipato a una “manifestazione non autorizzata” e per il reato di “sommossa”. Dopo due mesi di sciopero della fame è stato trasferito in ospedale. Alaa Abdel Fattah, 33 anni, è stato una delle icone della rivolta che portò alla caduta di Hosni Mubarak: era stato arrestato a novembre in una retata ordinata dal governo al Sisi che ha preso il potere dopo la destituzione del presidente islamista Mohamed Morsi. La manifestazione cui aveva partecipato, come sottolineano giornalisti indipendenti, era totalmente pacifica.

Contemporaneamente dalla Siria è arrivata la notizia che Mazen Darwish, giornalista siriano e instancabile difensore del diritto di espressione, dopo due anni di detenzione preventiva e arbitraria è stato trasferito nei giorni scorsi dal carcere di Damasco a quello di Hama, città simbolo della ferocia del regime sin dagli Ottanta, quando Assad padre in poche ore vi sterminò tra le diecimila e le trentamila persone, oggi sigillata e militarizzata dal regime dopo avervi operato un’autentica opera di pulizia etnico-confessionale. Questo trasferimento rende evidente che il processo a Mazen Derwish, ovviamente accusato di terrorismo, non comincerà mai. I loro casi ricordano quello di  Raif Badawi, il blogger saudita condannato a mille frustate per quanto ha scritto su “Saudi liberals”.

Insieme alla più recente condanna di centinaia di militanti di piazza Tahrir, i casi di di Raif Badawi, Alaa Abdel Fattah e di Mazen Darwish sembrano dire che i regimi totalitari e i terroristi siano due facce dello stesso problema e che il risveglio dell’opinione pubblica musulmana davanti alla “barbarie spacciata per vendicativa” dell’ISIS è propedeutico ad un altro risveglio, quello delle opinioni pubbliche occidentali  davanti al progetto dei regimi, poiché non è credibile l’idea di debellare il male con un altro male.

I giovani dell’ onda verde chiedono di vedere le galere iraniane, Raif BAdawi  chiede di vedere il suo di paese, e Mazen Darwish oggi ci chiede di vedere l’orrore dell’ISIS e l’orrore di quattro anni di crimini contro l’umanità perpetrati dal regime siriano con  bombardamenti indiscriminati,  barili bomba,  assedi che hanno impedito per centinaia di giorni l’accesso di viveri, acqua, elettricità, medicine a intere e inermi popolazioni civili,  chiede di vedere la pulizia etnica perpetrata con la complicità dei miliziani di Hezbollah nell’intera valle dell’Oronte,  chiede di vedere il famoso dossier  con le foto di migliaia di detenuti prima torturati, poi seviziati e infine  eliminati.

“Aiutati che Dio ti aiuta”…. Non essendoci un “un poliziotto del bene globale” sta ancora ali arabi il dovere di raddoppiare, denunciando l’ISIS e i regimi. Certo, l’ Europa dovrebbe incoraggiarli su questa strada, e non accontentarsi delle tenebre dei generali. Per generosità? No, per la consapevolezza che il futuro non potremo viverlo da soli.


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