Telecom e Mediaset

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Che parte deciderà di interpretare l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni rispetto al ventilato matrimonio tra Telecom e Mediaset? Farà don Rodrigo o don Abbondio? Oppure, come dovrebbe, ricorderà innanzitutto che lo stesso Testo Unico sulla radiodiffusione del 2005, peraltro voluto dall’ex ministro Gasparri, impedisce persino il fidanzamento? Il divieto sta nel comma 11 dell’articolo 43, verosimilmente pensato all’epoca per impedire qualsiasi feeling tra l’ex monopolista delle telecomunicazioni e la Sky di Murdoch. Vedi l’eterogenesi dei fini. Ieri la norma “proteggeva” il Biscione, oggi lo frena nella nuova discesa in campo. Tuttavia, il capitalismo di quest’epoca sgradevole non guarda in faccia a nessuno e –chissà- quel comma magari verrà “rottamato” in uno dei prossimi 998 giorni. In verità, tra le mille bolle blu evocate dal premier, non c’è neanche un cenno al problema dei media vecchi e nuovi, ma forse proprio il silenzio parla più di tante parole. Vale a dire, disco verde alle peripezie di un mercato che in Italia è tuttora soggiogato alle logiche del vecchio duopolio Rai-Mediaset, con la novità che il servizio pubblico interpreta il ruolo del coro dell’Aida: tra il “partiam partiam” e il movimento reale passa un bel po’ di tempo. Perché, altrimenti, il presidente di Telecom si sarebbe tanto esposto in una recente intervista sulle nozze del secolo? Telecom è un antico oggetto del desiderio del gruppo di Berlusconi, ma finora tale è rimasto. Stiamo ora a vedere. Certo, una via meno diretta (per dribblare la legge, in un paese ricco di precedenti in materia) potrebbe essere l’affidamento della pratica matrimoniale a Bolloré, il patron di Vivendi, tradizionalmente ben visto ad Arcore. La società francese sta pensando di rilevare la quota di Telecom posseduta dalla spagnola Telefonica, cui ha ceduto la sua società brasiliana Gvt , vincendo la guerra di agosto con Telecom. Un apparente pasticcio, che apre una nuova fase del e nel villaggio globale. E l’intesa tra i gestori delle reti, come le storiche aziende telefoniche, e i produttori di contenuti è la chiave per la sopravvivenza. Altrimenti, i signori dell’era di Internet, da Google in poi, spadroneggeranno senza opposizione.

Di fronte a tutto questo il governo italiano davvero non ritiene di dire (e fare) nulla? Neppure i cultori del liberismo sfrenato si sono storicamente ritratti dall’attenzione al settore dell’informazione, vero sistema nervoso della democrazia. Vedere per credere. Grazie a Telecom Italia è possibile seguire in streaming i lavori dell’Igf (Internet governance forum), in corso a Istanbul. Nella seduta di apertura di ieri si sono susseguite alle tribuna realtà –dal Bangladesh, alla Colombia, alla Costarica- in passato lontane e marginali. La geopolitica dei media sta cambiando a velocità digitale, non “passodopopasso”. E in Europa, tra l’altro, avvengono fatti strani. Il rapporto predisposto da Pascal Lamy (ex commissario e direttore dell’Organizzazione mondiale del commercio, pour cause) sulla destinazione delle prelibatissime frequenze della banda 700 MHz allunga il brodo del loro passaggio alle reti mobili di nuova generazione fino al 2020, lasciandole in balia della televisione. Vetusta, ma sempre influente. E’ chiaro che fino a che non si libereranno risorse tecniche la banda larga per tutti non ci sarà, per dirla in soldoni. E sapete chi c’era per l’Italia nel gruppo di Lamy? Mediaset, con la tenace consigliera di amministrazione Gina Nieri. Sembra di rivedere un film in bianco e nero.

Fonte: “Il Manifesto”, 3 settembre 2014


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