Le studentesse nigeriane dimenticate dal mondo

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Duecentocinquanta giorni. Domenica scorsa, tanti ne abbiamo contati da quando oltre 270 studentesse di una scuola di Chibok, in Nigeria, furono rapite dal gruppo armato islamista Boko haram. Nei primi giorni dopo il 14 aprile, 57 di loro riuscirono a scappare. Delle altre, non sappiamo più nulla. È una situazione paradossale, se si considera l’aiuto internazionale fornito da diversi stati alle operazioni di ricerca condotte dalle forze di sicurezza nigeriane. Il problema sta proprio là, nell’inefficienza dell’esercito di Lagos, che ha adottato dal 2009 la tecnica del terrore per sconfiggere il terrorismo, senza riuscirci ma rendendosi responsabile, nel frattempo, di migliaia di arresti e torture e centinaia di esecuzioni sommarie di presunti membri di Boko haram che a sua volta, in un crescendo di brutalità, dall’inizio dell’anno ha assassinato oltre 2000 civili.

Il rapimento delle ragazze poteva essere evitato. Nelle settimane successive, Amnesty International rivelò che il quartier generale delle forze armate di Maiduguri era a conoscenza dell’imminente attacco dalle 19 del 14 aprile, quasi quattro ore prima che Boko haram iniziasse le operazioni. L’incapacità di radunare i soldati – a causa delle scarse risorse a disposizione e della paura di fronteggiare un gruppo armato meglio equipaggiato – fece sì che quella notte non venissero inviati rinforzi a difendere la scuola di Chibok. Il piccolo contingente presente – 17 militari e qualche agente della polizia locale – cercò di respingere l’assalto di Boko haram ma venne sopraffatto e costretto alla ritirata.

Ricordate l’hashtag #BringBackOurGirls? Dopo la fatua ed effimera mobilitazione di vip, star e politici, a chiedere che le studentesse rapite 250 giorni fa sono rimaste solo le loro famiglie, le organizzazioni per i diritti umani e qualche organo d’informazione sensibile.


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