La derisione non è satira

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La Prima sezione penale della Corte di Cassazione (sentenza n. 9246/2006) stabilisce che la satira: è quella manifestazione di pensiero talora di altissimo livello che nei tempi si è addossata il compito di castigare ridendo mores, ovvero di indicare alla pubblica opinione aspetti criticabili o esecrabili di persone, al fine di ottenere, mediante il riso suscitato, un esito finale di carattere etico, correttivo cioè verso il bene.
La satira dunque non ha niente a che fare con le barzellette e barricarsi dietro l’Articolo 21 (il quale riconosce il sacrosanto diritto all’espressione del proprio pensiero)  non legittima la libertà di diffondere odio e discriminazioni.
Nel nostro paese l’attacco sembra la miglior difesa ed è questa la strategia usata anche dal direttore di Prs Federico Silvestri che difende l’operazione di allegare sulla rivista Visto” un librettino con le barzellette sui gay. Secondo la sua opinione i gay non sono più un tabù e chi ha protestato contro l’iniziativa fa un atto discriminatorio.
Questo è un tipo di ragionamento nel nostro paese caro a molti: quando non si può negare l’evidenza  si delegittima l’accusante e l’etica (se mai è esistita, cosa di cui dubito fortemente) va a farsi benedire.
La libertà di ridere non è una giustificazione per deridere una categoria di persone, il loro mestiere, la loro etnia o la loro religione. In questo va fatto un distinguo: l’ironia che viene fatta sui carabinieri, ad esempio, non è ovviamente la stessa che viene fatta sui gay sia per indice di cattiveria sia per gli effetti che questa potrebbe produrre. Viviamo in un paese  in cui ancora molti diritti stentano a realizzarsi e gli stereotipi sono ancora fortemente radicati. In alcuni paesi si è condannati  fino alla morte per il solo fatto di essere gay. In Italia il bullismo del branco ha portato al suicidio Andrea, un ragazzo di 15 anni. Un anno fa un altro  ragazzo, aveva solo 14 anni, si gettò dal terrazzo di casa sua, prima di quel gesto aveva lasciato un biglietto con scritto: “Mi emarginano perché sono gay”. Simone (aveva 21 anni) l’Ottobre scorso, prima di lanciarsi  nel vuoto, aveva scritto: “Sono gay,  l’Italia è un Paese libero ma esiste l’omofobia e chi ha questi atteggiamenti deve fare i conti con la propria coscienza“.
L’omofobia infligge ferite continue e se non si ha la fortuna di essere forti, di vivere senza che la propria sessualità venga avvertita come un “difetto”, può portare a conseguenze drammatiche.
Per quanto possono essere dibattute in parlamento leggi contro la violenza in generale e l’omofobia se il cambiamento non passa attraverso la cultura ogni tentativo sarà inefficace. In nome del rispetto dei diritti umani e di queste giovani vite spezzate a causa di una mentalità discriminante non si può rimanere in silenzio davanti ad iniziative editoriali che, mascherate da barzellette, diffondono una cultura omofoba attraverso stereotipi zeppi di crudeltà.


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