80 anni dalla Liberazione, verso il 25 aprile 2025

Dall’evasione alla lotta alla corruzione

0 0

I segnali negativi che hanno caratterizzato la crisi che ha investito l’Europa si sono stabilizzati a partire dal marzo scorso dopo che una seconda recessione, seguita a quella intervenuta nel  2009-2010, si è realizzata nel 2011. Nonostante qualche dato positivo, da questa seconda recessione che ha avuto luogo nel 2011, non siamo mai riusciti a riprenderci. Il nostro PIL continua ad oscillare intorno allo zero e l’occupazione è stagnante. Questo è un dato che deve indurci a riflettere perché è la prima volta che avviene dopo la seconda guerra mondiale. E’ la prima volta, se non sbaglio, che dal 2011 c’ è uno scollamento così grande dell’andamento ciclico nazionale da quello degli Stati Uniti, paese a cui siamo legati da più di un punto di vista. La fondamentale differenza tra noi e gli Stati Uniti sta nelle politiche finanzia  rie, fiscali e monetarie messe in atto dal 2008 in poi. Nel grande paese del Nord-America le caratteristiche delle politiche adottate sono state: la tempestiva e massiccia azione di acquisto di titoli finanziari e pubblici da parte della Banca Centrale; tempestiva azione di ricapitalizzazione delle banche. Al contrario, nella zona dell’Euro la risposta fiscale è stata, nel suo insieme, restrittiva: si è enfatizzato il problema del consolidamento  del debito invece che concentrarsi sullo stimolo della domanda interna. La politica monetaria, inizialmente tempestiva  ed efficace,  ha poi rallentato lo stimolo: da due anni il bilancio delle Banche centrali dell’euro sistema è in contrazione e si esita ad usare lo strumento del quantitative easing (acquisto quantitativo) alla domanda nonostante l’inflazione – il cui dato più recente è un tasso annuale dell’0,4% – sia in ribasso a partire dal 2011. Il terzo elemento da prendere in considerazione è il ritardo, a sei anni dall’inizio della crisi, con cui abbiamo affrontato il problema della ricapitalizzazione delle banche. I risultato della politica condotta fino a questo momento è non soltanto la debolezza, non ancora superata, dell’economia reale ma anche l’aumento del rapporto tra il debito totale (privato e pubblico) e il Prodotto industriale lordo. Per la politica fiscale, a livello continentale, il problema è costituito dalla differenza del debito pubblico tra i diversi paesi dell’Unione, differenza che preoccupa i Paesi creditori perché non vogliono esserne in nessun modo essere gli impliciti bersagli. Di qui nasce anche l’avversione della Banca centrale europea a politiche monetarie che possano suggerire un implicito finanziamento di alcuni Paesi.

A questo punto è il caso di dichiarare che la crisi corre il rischio di fermare la ripresa non soltanto nei paesi deboli ma anche nei più forti come la Germania o altri a lei vicini. Il percorso è tutt’altro che facile perché comporta il coordinamento tra un’autorità federale indipendente come la Banca centrale europea e diverse autorità nazionali come in primo luogo i governi dei Paesi dell’Unione Europea. Occorre quindi nel semestre italiano o comunque nei prossimi mesi indicare norme e criteri che rendano possibile un’azione efficace e coordinata per uscire dalla crisi che ancora ci investe e non ci da requie.


Iscriviti alla Newsletter di Articolo21

Articolo21
Panoramica privacy

Questo sito Web utilizza i cookie in modo che possiamo fornirti la migliore esperienza utente possibile. Le informazioni sui cookie sono memorizzate nel tuo browser ed eseguono funzioni come riconoscerti quando ritorni sul nostro sito Web e aiutare il nostro team a capire quali sezioni del sito Web trovi più interessanti e utili.

This website uses cookies so that we can provide you with the best user experience possible. Cookie information is stored in your browser and performs functions such as recognising you when you return to our website and helping our team to understand which sections of the website you find most interesting and useful.