“Ogni volta mi ‘innamoro’ solo di notizie che, se documentate e denunciate, contribuiscono al ‘bene comune’”

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Ha dato un grosso contributo all’indagine delle forze dell’ordine sul racket del caro estinto a Casoria, in provincia di Napoli, grazie alla sua inchiesta. È Alessandro Migliaccio (nella foto), il giornalista partenopeo che nel 2008 fu schiaffeggiato dal capo dei vigili urbani Luigi Sementa. Oggi, col suo libro di inchiesta “Che s’addà fà pe’ muri”,  il cronista ed autore de “Le Iene” ha permesso di smascherare una holding criminale nell’hinterland napoletano. A partire dal gennaio del 2011, infatti, Migliaccio, armato di taccuino e microcamere nascoste, aveva condotto un’accurata indagine nei cimiteri, negli ospedali e nelle pompe funebri di Napoli e provincia documentando gli affari e le speculazioni della camorra sui defunti. Un lavoro che ha portato alla messa in onda nel programma “Le Iene” di diversi servizi sull’argomento, a sua firma, realizzati insieme con l’inviato Giulio Golia. Servizi in cui si mostrano i legami tra le pompe funebri ed il personale degli ospedali cittadini, le speculazioni che avvengono nei cimiteri ed appunto il racket del caro estinto. Tra questi, il servizio dedicato a Casoria, un comune dove fino a prima dell’indagine del giornalista una sola impresa funebre aveva il monopolio dei funerali e riusciva ad imporre prezzi triplicati per le funzioni religiose. Tanto che, come documentano le immagini prodotte da Migliaccio per “Le Iene”, i titolari delle altre pompe funebri di Napoli e provincia si rifiutavano di effettuare funerali a Casoria: “Se andiamo là – spiegavano – ci sparano addosso”.
Di qui la decisione di approfondire l’argomento e recarsi sul posto con la troupe del programma di Italia Uno che, nel realizzare l’intervista al titolare della ditta funebre oggetto del servizio (tra gli arrestati ieri dai carabinieri), era stata aggredita ed aveva subito il furto di una telecamera. Un’aggressione che aveva fatto scaturire la denuncia da parte della troupe di Mediaset e le successive indagini che si sono concluse poco più di una settimana fa.

Quando e perché ha deciso di scrivere un libro sul fenomeno del racket del caro estinto?
«L’idea mi è nata quando ho iniziato a capire che i napoletani non erano a conoscenza della gravità del fenomeno, che c’era molta ignoranza in merito alla normativa che regola lo svolgimento delle esequie e dell’assegnazione dei posti nei cimiteri cittadini. Inoltre, parlando con tante persone, ho notato che in molti ormai davano per scontato il fatto di subire delle pressioni o delle imposizioni perfino all’atto di organizzare un funerale per un parente. E la decisione di scrivere un libro di denuncia sugli affari e le speculazioni che la camorra fa sui morti a Napoli è maturata ascoltando le solite frasi del tipo “è inutile ribellarsi”, “è così che funziona”, “tanto non cambierà mai niente”».

Si tratta di una piaga solo partenopea, secondo lei?
«No. Anche in Calabria e in Sicilia ho riscontrato situazioni analoghe sulle quali sto indagando».

Quali difficoltà ha incontrato nello smascherare la holding che gestiva il business illecito a Casoria?
«Quando mi sono recato sul posto con la troupe de “Le Iene”, l’autrice che girava il filmato è stata aggredita e le hanno portato via la telecamera. Per fortuna, però, con l’ausilio di una microcamera nascosta che indossavo io, siamo riusciti ugualmente a portare a termine il servizio».

Quale contributo le sue ricerche hanno fornito alle indagini degli inquirenti?
«Credo un contributo decisivo dal momento che le mie inchieste giornalistiche contenute nel libro “Che s’addà fà pe’ murì!” e mandate in onda a “Le Iene” hanno permesso di far luce sul racket del caro estinto a Casoria, dove sono state arrestate quattro persone, e sulle compravendite di loculi che avvenivano in un cimitero della periferia occidentale di Napoli, il cui custode – dipendente della Napoli Servizi – è stato sospeso dal lavoro in seguito alla mia denuncia. Inoltre, ho documentato la presenza imposta dai clan delle imprese funebri negli ospedali cittadini. In ogni ospedale, in sostanza, c’è una ditta che la fa da padrona e che, come ho documentato con un mio servizio andato in onda nel corso di una puntata de “Le Iene”, viene palesemente favorita da infermieri e medici, gestendo una sorta di “appalto dei funerali” di chi muore in ospedale, ovviamente fuorilegge. Ed infine, ho denunciato un’altra usanza assurda eppure consentita negli ospedali, ovvero quella di trasportare i defunti nelle loro abitazioni fingendo che siano ancora vivi, attraverso un gioco di connivenze che riguarda i medici e gli infermieri, imposto dai titolari di ditte di ambulanze private che stazionano all’interno degli ospedali e che impongono prezzi intorno ai mille euro ai parenti del defunto per far sparire la salma e far dichiarare al medico che la persona non è morta in ospedale ma durante il tragitto in ambulanza».

Qual è la differenza tra una Iena e un cronista come lei in senso stretto?
«La Iena è uno showman televisivo e non è un giornalista tranne pochi casi, mentre un cronista come me ha le suole delle scarpe consumate e beve caffè in giro con le sue fonti e con le persone che incontra per strada. Ma detto questo, mi è capitato più volte di pensare che alcune Iene fanno più indagini di molti giornalisti. E questo perché i due capi autori del programma hanno sfornano idee geniali puntata dopo puntata e sono davvero molto in gamba».

Lei è stato protagonista in passato di un episodio che, in un certo senso, limitava la libertà di stampa. Mi riferisco allo schiaffo – balzato su tutte le cronache – che le diede l’ex comandante della polizia municipale di Napoli. Come si è risolta quella questione?
«Ho ottenuto le scuse del comandante ed un risarcimento economico che ho interamente devoluto all’ospedale pediatrico “Santobono”».

Qual è il confine tra la notizia a tutti i costi e il rispetto della deontologia professionale?
«Secondo me è la vita privata. Ma per me non è mai esistita la notizia a tutti i costi. Ogni volta mi “innamoro” solo di notizie che, se documentate e denunciate, contribuiscono al “bene comune” e quindi la vita privata non c’entra niente. Quando propongo un servizio alla redazione de “Le Iene”, per esempio, valutiamo molto attentamente se la persona da smascherare è una persona che fa o che non fa del male a qualcuno. Una persona che si arrangia per vivere e lo fa in modo illecito ma senza creare dolo a nessuno, non diventerà mai oggetto di un servizio della trasmissione, anche se sarebbe stato interessante raccontare la sua storia ed il suo modo illegale di fare soldi».

Quale sarà l’argomento del prossimo libro, se può anticiparlo ad “Articolo 21”?
«Ho in mente due libri. Uno che approfondisce ancora il racket del caro estinto, perché intanto mi sono giunte numerose segnalazioni dai cittadini, e l’altro sulla sanità, ma non sui casi di malasanità, bensì sulla gestione della sanità pubblica».


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