Terrorismo, un presagio del prossimo futuro?

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Ormai alcuni tra  gli osservatori più attenti – stranieri e italiani – della crisi repubblicana propendono a credere che il fattore terrorismo sia oggi  incombente nella situazione italiana e che potrebbe, nei prossimi mesi, diventare un elemento centrale e pericoloso. I segni del fenomeno sono numerosi, dall’attentato a Genova, qualche giorno fa, contro il manager Adinolfi dell’Ansaldo Nucleare a quello più misterioso (non rivendicato) di Brindisi (che nella prima conferenza stampa il procuratore della città ha definito come espressione di una volontà stragista) in una situazione in cui all’attacco sono le associazioni mafiose di tutto il paese. E’ quello che penso anch’ io dopo aver scritto, negli anni novanta, vari studi per libri e riviste storiche sui terrorismi italiani negli anni settanta e ottanta (in particolare la sintesi di oltre ottanta pagine  del 1994 pubblicato nel III volume della Storia dell’Italia repubblicana Einaudi e intitolato. La stagione delle stragi e dei terrorismi 1969-1984).

Leggendo ora il libro di Maurizio Molinari  pubblicato da pochi giorni con il titolo Governo ombra. I documenti segreti degli Usa sull’Italia degli anni di piombo (Rizzoli, pagine 263, diciotto euro) se ne ha una conferma, difficile – a mio avviso – da confutare con sicurezza.
Gli elementi che conducono a sostenere quella che è ancora un’ipotesi – piuttosto che una certezza – sono i seguenti.

Il primo – storicamente decisivo – è il ruolo che gli Stati Uniti e l’Unione Sovietica hanno fissato durante la seconda guerra mondiale – e soprattutto nella fase finale del conflitto – con i patti di Yalta nel gennaio 1945 e  con l’esplosione della “guerra fredda”, hanno fatto dei governi De Gasperi e di quelli successivi centristi e di centro-destra  fino alla prima apertura di centro-sinistra dal 1961 al  1963 – un gendarme costante nell’Occidente democratico e  capitalistico, schierato contro il pericolo comunista sovietico e i partiti comunisti europei.

Il secondo elemento importante è costituito dall’analisi ( che vale la pena ricordare sinteticamente) di una crisi politica, culturale ed economica che affligge il nostro più di altri paesi dell’Europa, per la difficoltà di uscire dalla difficoltà complessiva che ha condotto tutti i partiti presenti nell’attuale parlamento a chiedere l’intervento del governo tecnico di Mario Monti fino alla conclusione dell’attuale legislatura.

I dispacci che Molinari ha pubblicato nel suo libro  e che si riferiscono all’anno cruciale del rapimento e dell’assassinio di Aldo Moro da parte delle Brigate Rosse, sottolineano in maniera  monotona, la necessità per il governo americano, guidato in quel momento dal presidente democratico James Early Carter, di evocare ossessivamente l’imminente conquista da parte dei comunisti, ancora legati all’Urss, del potere in maniera non democratica.

E, nello stesso tempo, mettono in luce la contraddizione che si è creata nel sistema politico tra l’atteggiamento formalmente  negativo che la maggioranza della DC e degli altri partiti di destra e del centro laico hanno – d’accordo peraltro con il governo americano – contro l’ipotesi dell’ingresso del Partito comunista italiano nella maggioranza parlamentare e i rapporti molto fitti che pure ci sono tra il partito cattolico e quello comunista che si concreta – proprio nel 1978 – nell’importante visita che il leader della destra comunista (il futuro presidente della repubblica) Giorgio Napolitano, di ottenere – pur dopo una lunga attesa – il visto necessario per recarsi negli Stati Uniti invitato da alcune prestigiose università di quel paese.

I misteri che ancora avvolgono – come è parere ancora  della grande maggioranza degli storici, oltre che della famiglia dello statista ucciso dai brigatisti, danno il senso – contenuto anche nei telegrammi dell’ambasciata americana e delle risposte del Dipartimento di Stato – della contrarietà della presidenza Carter all’ingresso del PCI nella maggioranza parlamentare e quindi alla strategia, perseguita da alcuni anni dall’uomo politico pugliese, di coinvolgere l’opposizione comunista nel governo nazionale sia pure attraverso un cammino graduale e fasi diverse (di cui Roberto Ruffilli, ucciso nel 1987 dalle Brigate Rosse avrebbe illustrato gli aspetti concettuali).

I giudizi che l’ambasciata americana e più ancora il Dipartimento di Stato di Washington tracciano su Bettino Craxi (“un anticomunista in cerca di fondi”) e su altri uomini politici del tempo e l’ultima parte, più frammentaria del libro su rapporti dalle provincie) fanno capire al lettore come il giudizio sul partito cattolico al potere da oltre trent’anni tenda a diventare complessivamente negativo e ponga al governo degli Stati Uniti problemi che, nei decenni precedenti, non si erano mai posti.

Insomma quello che si può dire a questo punto è che, da una parte, il libro di Molinari diventa una fonte utile per i nostri studi sui rapporti tra l’Italia e gli Stati Uniti negli anni cruciali del  terrorismo, ma, dall’altra, che, proprio in quell’anno cruciale, si gioca il destino non soltanto di un uomo politico centrale per il governo nell’Italia repubblicana ma anche di quelle forze (politiche e sociali)  che lottavano per il cambiamento in senso democratico e progressivo di un paese troppo spesso assediato, dopo la seconda guerra mondiale, da tentativi di golpe autoritari, da misteri irrisolti, da associazioni eversive che volevano ritornare indietro e non attuare i principi fondamentali della costituzione democratica del 1948.

Perciò parliamo oggi di un anno importante – il 1978, con il caso Moro – per la storia dell’Italia repubblicana.
Nel senso che la gravità della crisi attuale – caratterizzata dalla vicinanza del baratro economico, dal peggiorare continuo dei conflitti sociali, dalla distanza ormai quasi abissale tra la realizzazione del bene comune da parte delle classi dirigenti e la condizione di vita della maggioranza degli italiani –  non lascia ancora intravvedere l’uscita positiva da parte del nostro Paese. In questa condizione è ragionevole ipotizzare l’azione di forze occulte che nel passato hanno sempre interferito, negli ultimi anni del ventesimo secolo come nei primi anni del ventunesimo, su una democrazia debole e troppo sensibile agli interessi privati dei potenti.


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