Ddl editoria, spunti e considerazioni

0 0

L’Atto Senato n. 3305, vale a dire la conversione in legge del decreto-legge 18 maggio 2012, n.63, recante “disposizioni urgenti in materia di riordino dei contributi alle imprese editrici, nonché di vendita della stampa quotidiana e periodica e di pubblicità istituzionale”… è un ‘compromesso positivo’. E’ lecito prendere in prestito la felice battuta con la quale il compianto Paolo Murialdi commentò la prima riforma organica del settore, la L. 416 del 1981.

E’ un compromesso tra l’esigenza conclamata di una revisione strategica delle norme adattandole all’era digitale e l’urgenza di arrivare a quell’ora x con i soggetti interessati vivi e non morti. Del resto il Governo ha chiesto una specifica delega per scrivere un testo più volto al futuro, mentre qui e ora si tratta di dare un senso adeguato, improntato a moralità e rigore, al meccanismo del sostegno pubblico ai giornali e ai periodici storicamente interessati dal ‘Fondo per l’editoria’, che prese avvio con la citata legge del 1981 ed è stato affrontato da altre, diverse disposizioni, tra cui citerei in particolare la legge n.250 del 7 agosto 1990.

Quest’ultima fu varata all’indomani della notissima legge Mammì sull’emittenza (l. 223 del 6/8/1990), che sancì il predominio nei e sui media italiani della televisione nazionale generalista, incarnata dalla concentrazione duopolistica Rai-Mediaset. E proprio l’abnorme potere economico (e pubblicitario) della tv rispetto alla carta stampata, soprattutto quella non profit, cooperativa, locale, di opinione e di partito diede luogo a misure di sostegno peculiari dell’Italia, ancorché forme di intervento pubblico si rintraccino in vari paesi europei e la stessa Unione europea non abbia intravisto in simile pratica motivo di violazione del libero mercato o surrettizie modalità di aiuti di stato.

Secondo il Rapporto “Pubblic Support for the Media, a six-country overview of direct and indirect subsidies” – elaborato dal Reuters Institute for the study of journalism dell’Università di Oxford- prendendo in esame i diversi tipi di aiuti che i giornali (quotidiani e periodici) ricevono in Finlandia, Francia, Germania, Italia, Regno Unito e negli Stati Uniti, risulta che lo Stato più generoso è la Finlandia (elargisce 59 euro annui per abitante), seguito da Francia (20), Gran Bretagna (12), Germania (6,4) e Stati Uniti (2,6).
La ratio della legislazione pregressa, comprensiva pure dei fogli dei soggetti politico-parlamentari, è stata dunque quella del riequilibrio almeno parziale dei forti squilibri di un mercato pan televisivo e assai piegato alla logica dei trust.

Fino ad un certo punto anche i maggiori gruppi editoriali hanno goduto di agevolazioni indirette, mentre  ora il testa del governo  -cui si accompagna l’Atto Senato n. 3251 Vita ed altri- si concentra sulla revisione dei criteri storici, moralizzando il settore attraverso due discrimini decisivi per bonificare i meccanismi erogatori: l’occupazione effettiva nelle testate, il riferimento dei contributi alle copie vendute e non più a quelle distribuite. Sono ancora fresche le polemiche attorno al ‘caso Lavitola’, epifenomeno di un trend sgradevolmente cresciuto, al di là di giudizi di ordine penale che qui non competono.

Il decreto governativo introduce criteri valutativi più certi, aprendo la strada alla riforma ugualmente indifferibile. Si inserisce un fondamentale articolo 3 sull’editoria digitale, che garantisce il passaggio pressoché indolore all’online, oggi ‘scalone’, domani la normalità. C’è un’ampia discussione sul futuro della carta stampata, su cui non è possibile soffermarsi in codesta sede. Valga per tutte l’indicazione venuta dall’amministratore del ‘New York Times’ che ha preconizzato la convivenza dei supporti analogici e digitali, alla condizione di cambiare stili e culture della testata di tradizione.

Luogo di riflessione, di approfondimento e di commento, pur  ‘lean back’ nella fruizione, a differenza di quella ‘lean forward’ dei media digitali, che si trasforma nella modalità chiamata da Derrick de Kerckhove ‘screttura’, unione di lettura e scrittura, come si dice dei wreaders, insieme scrittori e lettori dei testi. Ipertesti. E’ la quarta rivoluzione dell’editoria, dopo il passaggio dal volumen al codex, dal rotolo al libro, dopo la rivoluzione gutenberghiana, con l’avvento del sogno digitale.

L’articolato del governo affronta finalmente, anche grazie alla sensibilità del Sottosegretario Paolo Peluffo, il passaggio a ‘Nord-Ovest’. Purtroppo, però. Non immaginando subito possibilità di nuovi entranti, di operatori fuori dal recinto della normativa stratificatasi negli anni e riformata dall’interno, ma non dall’esterno. E’ il limite culturale del testo, che tocca pure la parte classica analogica. Troppo esistente, il nuovo ancora lontano dalla ‘cittadella’. Così il tetto sull’occupazione potrebbe essere alzato, proprio per favorire il lavoro.

Ugualmente, tra le copie vendute si dovrebbe considerare anche l’online, per stare al tempo digitale. Su altri aspetti si invita il Governo a ‘cercare ancora’, come  ammoniva Claudio Napoleoni. In particolare, va aiutata l’acquisizione da parte delle cooperative dei giornalisti delle testate in crisi, sempre per far transitare il settore verso una situazione più certa sotto il profilo economico-finanziario.

Il testo del decreto si può riassumere in pochi punti:
a) l’introduzione di nuovi, rigorosi e selettivi requisiti di accesso;
b) la limitazione dei costi ammissibili;
c) l’ancoraggio del contributo alle copie vendute e non più a quelle distribuite;
d) la rimodulazione dei coefficienti del calcolo, in termini di numero di copie computabili (che devono essere copie vendute, e non solo «distribuite») e il contenimento dei tetti massimi dei contributi percepibili.

Insomma, siamo di fronte ad una buona base di partenza, che in sede parlamentare potrebbe essere migliorata, contribuendo a modificare il quadro attuale.
Una significativa novità è immaginata dal già citato articolo 3, che prevede la possibilità, per le imprese che abbiano già  percepito i contributi, di passare alla pubblicazione online, anche in via non esclusiva. Per tali testate sono stabiliti requisiti, in termini di registrazione e numero minimo di uscite nell’anno, analoghi a quelli vigenti per i giornali; è previsto un contributo calcolato, per la quota parametrata ai costi, nel 70 per cento dei costi sostenuti per la produzione della testata, per i primi due anni di edizione, e ciò al fine di incentivare le imprese alla dismissione dell’edizione cartacea, che comporta costi finanziari, di produzione e costi indiretti molto più elevati di quelli richiesti per l’edizione online. Inoltre, è previsto un rimborso pari ad euro 0,10 per copia venduta in abbonamento, con la possibilità di riconoscimento concorrente anche dei costi di produzione della eventuale edizione cartacea, sempre nei limiti del tetto massimo complessivo di cui all’articolo 2, comma 2, lettera a).

L’articolo 4 consente, al comma 3, di completare la liquidazione del rimborso alla società  Poste Italiane di quanto dovuto per l’applicazione delle tariffe agevolate per la spedizione dei prodotti editoriali. Infatti, con tale disposizione si individua con precisione il criterio necessario alla determinazione del rimborso spettante a Poste Italiane nel periodo intercorrente tra il 1º gennaio 2010 ed il 31 marzo 2010 (data di cessazione dell’applicazione delle agevolazioni tariffarie postali).

I risparmi determinati dall’applicazione di tale disposizione, rispetto agli stanziamenti già accantonati al medesimo fine sul bilancio autonomo della Presidenza del Consiglio dei ministri per l’anno 2010, sono destinati ad integrare le risorse destinate alle politiche di sostegno e sviluppo del settore editoriale del Dipartimento per l’informazione e l’editoria, e prioritariamente per la copertura del credito d’imposta previsto al comma 1.
In tale comma è  contenuta l’unica disposizione che contempla un onere, nella forma di un credito di imposta, per l’anno 2012, per l’adozione degli opportuni strumenti informatici necessari ad assicurare la tracciabilità della filiera della distribuzione e della vendita dei giornali. Peraltro, alla copertura di tale onere si provvede, nel limite massimo di 10 milioni di euro, mediante l’utilizzazione dei risparmi derivanti dall’applicazione del comma 3.

Sullo sfondo sta la crisi drammatica di tante testate, almeno un centinaio, a rischio di chiusura, senza più il diritto soggettivo a ricevere le provvidenze, diritto da ripristinare quanto prima.  Il fondo è stato ridotto a 120 milioni, dei quali, tolte tutte le spese che vi gravano impropriamente, a bilancio oggi in realtà ne restano solo 53, ovvero appena un trimestre di quanto previsto dalle aziende. Il tutto a fronte di un reale fabbisogno del settore di 170 milioni annui.

Per tali motivi va espressamente abrogato l’articolo 44 del decreto legge n. 112 del 25 giugno 2008,  convertito, con modificazioni, dalla legge 6  agosto  2008,  n.  133 e va quindi modificato anche il decreto del Presidente della Repubblica 25 novembre 2010, n. 223 (Regolamento Bonaiuti).

*Relazione svolta in VII commissione


Iscriviti alla Newsletter di Articolo21