37mila fattispecie di reati. E la chiamano Giustizia

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La chiamano Giustizia. Non devono essere molti a sapere quante sono le fattispecie di reato esistenti in Italia. Una cifra iperbolica: circa 37mila; a quanto pare non bastano, perché a seguire le cronache degli ultimi giorni è un continuo invocare nuove e più gravose pene, nuovi tipi di reati. Evidentemente 37mila fattispecie di reati non bastano, non sono sufficienti.
L’Italia è la patria di quel Cesare Beccaria che ha regalato al mondo quel libro straordinario che è “Dei delitti e delle pene”, dove si dice che le leggi non devono essere interpretate, piuttosto devono essere chiare, in modo che il compito del magistrato sia solo quello di applicarle; ebbene, abbiamo un labirinto di 37mila fattispecie di reati. La chiamano Giustizia.

Chiamano Giustizia anche il sovraffollamento in carcere, la carenza di organico, le morti sospette, i suicidi; chiamano giustizia lo stato delle carceri italiane che nonostante le tante promesse e gli annunciati impegni, continua a essere criminogeno. Sono almeno 24 i morti per suicidio in carcere dall’inizio del 2015; 63 il numero delle morti complessive tra la popolazione detenuta. In carcere, tra i ristretti, il suicidio colpisce 20 volte più che tra le persone libere. Tra il personale di polizia penitenziaria, tre volte più che nella norma. la speranza dell’impunità. La chiamano giustizia.

Ogni anno nelle prigioni italiane si tolgono la vita una sessantina di detenuti. Un numero triplicato rispetto a quanto avveniva negli anni solo cinquant’anni fa, quando la popolazione carceraria era la metà di quella attuale.
C’è poi chi dubita che i casi archiviati come suicidio siano effettivamente tali. Perché può capitare che il detenuto presenti i segni di percosse sul corpo, oppure la dinamica del suicidio appare poco credibile: ci sono tanti modi per togliersi la vita in cella: si bagna la canottiera e poi la si stringe attorno al collo fino a morire. Certo, bisogna stringere davvero tanto, ma se si vuole, si puo’. Ci si può anche buttare dal letto a castello con una corda di lenzuolo al collo. Certo, quel letto a castello deve essere molto alto, un piccolo grattacielo…Ci si può impiccare e avere un’emorragia; certo, il sangue anche fuori dalla cella è un po’ strano, ma non formalizziamoci troppo…Ci si può impiccare con le stringhe delle scarpe, e devono essere stringhe molto resistenti, se il detenuto  che ne e’ proprietario pesa un centinaio di chili…Ci si può suicidare perché preda della depressione; depressione repentina: alla vittima mancano pochi mesi per liberazione…ci si può impiccare con i piedi che poggiano sul pavimento…piccoli dettagli.  E fa pensare che un affiliato a una cosca mafiosa che manifesta il proposito di collaborare con la giustizia, si impicchi prima di dire al magistrato quel che ha da dire. Insomma molti di quei seicento detenuti che in dieci anni si sono tolti la vita potrebbe rivelarsi protagonisti-vittime di storie che forse non coincidono con le storie ufficiali che si trovano nei loro fascicoli. Pero’ la chiamano Giustizia.


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