Appello dell’Africa ai giornalisti: che effetto vi fa l’avorio insanguinato?

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Un chilo di avorio a Pechino si paga mille dollari, uno di corno di rinoceronte ventimila. Altrettanto a Bangkok, a Singapore. E’ l’ultima dall’Africa verde insanguinata, fra il Tropico del Cancro e il Tropico del Capricorno. Un settimanale femminile, D di Repubblica, ha dato spazio a un ampio servizio di Margot Kiser, di Newsweek. Esistono ancora in qualche parte del mondo giornalisti che fanno gli inviati speciali, anche loro specie in estinzione come elefanti e rinoceronti. Di questi ne sono rimasti in tutta l’Africa 21 mila bianchi e 4 mila neri, quest’ultimi in Kenia. E’ dal Kenia che ci arriva l’appello a smuovere l’opinione pubblica anche italiana, a chiedere ai giornalisti eletti in parlamento di fare leggi contro il commercio d’ avorio e scaglie di corno. Articolo 21 ha mandato alla Camera e al Senato alcuni dei quaranta che, prima ad Acquasparta poi presso la Federazione della stampa, s’erano impegnati a guardare verso orizzonti nuovi, se eletti. Anche l’orizzonte della biodiversità in terre lontane, massacrata dal nuovo colonialismo globale. Sarà la guerra dei droni “buoni”, senz’armi ma vigilanti, contro i kalasnikov cattivi dei bracconieri, come ha proposto Ilary Clinton? O sarà il Partito comunista cinese, che ha proibito le bende che da cinquemila anni deturpano i piedi delle donne, a proibire a capitalisti e mercanti della grande Cina l’incetta di avorio e corni, diventati più preziosi dell’oro e della cocaina?

Ci sollecitano a questa lotta dal “posto della primavera”, Ol Ari Nyiro, la grande riserva del Kenia del nord. Ci sono centomila ettari incontaminati, dove la scrittrice trevigiana Kuki Gallmann, 69 anni, e il suo primo marito crearono trent’anni fa la grande riserva dei pachidermi e di ogni altra specie. In Occidente e in Italia il “posto della primavera” ci si presentò circa 15 anni fa nell’immagine seducente di Kim Basinger, l’antieroina di Otto settimane e mezzo, che portò sullo schermo Sognavo l’Africa, I dreamed of Africa: il più bel romanzo della Gallmann, quasi una continuazione del capolavoro di Karen Blixen, La mia Africa. La signora di Treviso, dal cognome svizzero del secondo marito, vive la stessa esperienza della grande umanista danese. Con la stessa dedizione, e con due ferite nella carne stanca dopo decenni, trapassata da due pallottole di bracconieri.

Chiamarla “collega” non potremmo, perché noi giornalisti italiani la ignoriamo, presi dalle nostre cucine. Lei, Kuky, in trent’anni di amore e di guerra, ha lasciato sul campo il primo marito per un incidente nel Rift , e il figlio undicenne Emanuele per un morso di serpente. E’ rimasta sola, col fucile a tracolla e i suoi ranger kenioti, ex bracconieri pentiti, da lei redenti dopo la pena, contro i quali sparano i fuorilegge. Kuky e la figlia superstite Sveva – 32 anni, idolo biondo delle popolazioni masai fra cui è cresciuta, ora ambasciatrice a Londra dell’opera di sua madre -, sono le amazzoni delle ultime mandrie di pachidermi, assediate dalla voracità dalla vacuità e dalla superstizione di tre continenti. E dalla fame africana. “Non chiamatelo avorio, piuttosto denti insanguinati, forse saranno meno suggestivi per mercanti, artigiani, sacerdoti di varie religioni, stregoni di tutte le razze, che fanno statue gioielli decorazioni in avorio”, chiede candida la reverenda brasiliana Doju Freire: suora buddista, ora a Torino, da poco rientrata da un lungo soggiorno con Kuki Gallmann. E ci chiede aiuto, nientemeno, a noi giornalisti di Strapaese.
Sognavo l’Africa, I dreamed of Africa. Una “forza speciale” veglierà giorno e notte su queste vite africane e già si è mossa per le balene dell’Oceano Indiano, per le popolazioni di oranghi a Sumatra, o nel Kruger National Park del Sud Africa: dove, nei primi due mesi dell’anno, sono stati uccisi 61 rinoceronti e arrestati 14 bracconieri. Forse un modo di lavarsi l’anima del globalismo mercantile-religioso-sessuale e della stregoneria, che in Africa mutilano rinoceronti, elefanti e donne, in un interminabile paganesimo del sangue. La forza speciale, che affiancherà le agenzie di intelligence contro bracconieri e mercanti, è stata illustrata da Francesco Semprini su La Stampa. “I droni non avranno missili ma gli apparati elettronici che raccolgono i dati e completano l’opera in simbiosi con la tecnologia di telefonia mobile a basso costo, di Google. Tracciano le piste e le rotte seguite dagli animali, le trasmettono ai sistemi di comunicazione gestiti dalle guardie forestali e costiere”. Aiutiamo il Kenia, quello interno, oltre la Malindi dei Briatore. Il Kenia infinitamente povero anche se ammantato di verde nelle visioni aeree per turisti. Dove solo i masai riescono a sostentarsi con un po’ di farina e di latte.

Così nel 2011 sono morti in Africa 30 mila elefanti. Non è più il tempo romantico della battuta nel plenilunio, con le lance degli indigeni o col fucile a una canna della “caccia grossa”. Oggi si spara a raffica, trenta giorni e trenta notti al mese, e si fa un’unica carneficina del branco, coi piccoli disperati che impazziscono quando crollano le matriarche, le grandi madri della società femminista, conservatrici dell’esperienza e della memoria storica del branco: piste, fonti d’acqua, riserve alimentari. E impazziti finiscono sotto il tiro di altri criminali, che una volta uccidevano solo i maschi dalle grandi zanne, ora uccidono pure loro, i cuccioli coi “dentini” da latte. Tutto si vende, tutto si compra, la vita fa le sue metamorfosi preziose nelle forme di Budda, Visnù, Confucio, crocifissi, decorazioni per case di lusso, bracciali, collane. L’Italia ha firmato la convenzione Cites sul commercio internazionale delle specie, padre Lombardi – sorride la reverenda Doju – assicura che il Vaticano “non incoraggia il consumo” dei denti insanguinati. E noi? Ci siamo commossi qualche giorno fa quando Rai Scienze ha raccontato che nel 2012 la Lipu italiana ha ricostruito, ricucito, spiombato ali e gambe, impiantato protesi a 15 mila uccelli d’ogni piccolezza, e anche volpi, tartarughe, cani, restituendoli al cielo e alle campagne. A noi giornalisti si chiede di fare un po’ di posto sui giornali anche agli elefanti africani, se ancora vivranno qualche tempo affianco a noi.


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