L’immagine femminile paradigma
per una nuova (buona) televisione

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Si è appena conclusa Miss Italia e il tema della rappresentazione della donna in televisione è tornato sui giornali. E’ comprensibile ma non è il vero problema. La nostra televisione spesso sembra non sapere che “donna” è una parola per tutti, maschi e femmine, donna è un genere ma non è una “parte” (quindi un partito, un’associazione ,un format…), è una identificazione pari a quella della parola “uomo”. Quindi la rappresentazione della società, del mondo, dell’umanità, dovrà avere una pari presenza e analisi del mondo delle donne e di quello degli uomini. Siamo pari non siamo uguali.

Nel secondo decennio degli anni 2000 non ha senso la sterile polemica sui troppo corpi femminili in TV, certo c’è anche questo aspetto, dopo 25 anni di televisione commerciale che su questo ha puntato fin dal primo giorno. Ma la questione è più complessa e perfino più affascinante.

Per questo l’operazione Miss Italia di quest’anno si inquadra in una logica vecchia: in pratica si è cercato di “mettere le pezze a colore”, legando il programma a operazioni di solidarietà, facendo dire alle ragazze delle frasette molto politically correct, e perfino cambiando i loro costumi.

Una operazione di facciata che ha certamente reso il prodotto meno fastidioso rispetto al passato ma ancora non va nella direzione di una rivoluzione dell’offerta della Rai.

Io spero che questo cambiamento arrivi davvero dal prossimo anno. Un cambiamento che riguardi il contenuto di quello che va in onda.

La presidente Tarantolaha detto infatti che la rappresentazione della donna deve essere più aderente alla realtà: ebbene, la rivoluzione è questa.

Bisogna riuscire a far vedere in TV la donna di oggi, nelle sue molteplici e contraddittorie sfaccettature, ma quella che è, non nella logica perversa di proporre modelli sbagliati e devianti per fini che possono andare dall’audience, alla pubblicità, e anche alla progressiva costruzione di un modello sociale superficiale, egoistico, privo di valori reali.

La Rai ha molti problemi da risolvere e molte sfide importanti per il nuovo vertice che sta lavorando a ritmi da tempo dimenticati nell’azienda, ma il più importante resta sempre quello di cui si parla meno, il contenuto dei programmi.

Per la maggior parte degli italiani la Rai è ancora oggi quello che va in onda su Rai1, Rai2 e Rai3, per una parte più piccola è quello che va in onda anche sui canali tematici, sulla radio e sul web. Ma sempre comunque quello che il pubblico vede e ascolta.

Nessuna rivoluzione industriale e organizzativa potrà fare  a meno di questo: migliorare i prodotti. Come si può fare?  Certamente non c’è la bacchetta magica. Ma il metodo è antico: andare a scovare nell’azienda le professionalità che sanno fare programmi, i creativi che comprendono le nuove esigenze del pubblico, gli autori che sanno scrivere per la TV, i programmisti che sanno fare i programmi di compilazione, i registi che sanno come affascinare lo spettatore.

Insomma, dare spazio a quelli bravi! Perché se si fa buona televisione la donna c’è, ed è rappresentata in modo giusto. Questo è il paradigma. La televisione è andata via via diventando più brutta e contemporaneamente l’immagine femminile è diventata quello che sappiamo. C’è in questo un rapporto diretto, che passa soprattutto nei programmi di varietà.

Oggi, dopo anni, ci sono tutte le premesse per questo cambiamento. Anzi, io dico che rifaremo presto una bella televisione e non sarà solo televisione, sarà prodotto declinabile in tutti i formati e su tutte le piattaforme.

Ma la riflessione è indispensabile e una iniziativa di Articolo 21 è veramente auspicabile, per portare un contributo di idee e di pensiero. Donna, idee, pensiero, sapere, legalità, allegria, solidarietà, fantasia, ecco otto semplici parole che camminano bene insieme e da cui ripartire non per costruire proclami, manifesti o raggruppamenti politici, ma una televisione bella, forte e plurale,  di autentico servizio pubblico. Che tornerà ad essere anche ricca.


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