“Come farfalle nella ragnatela” è un libro doloroso, ma necessario. Mette in fila, come recita il sottotitolo, “storie di ordinaria violenza sulle donne”, ci ricorda alcuni casi di cronaca che magari abbiamo ascoltato distrattamente o che abbiamo facilmente archiviato, con un diffuso meccanismo psicologico di rassicurazione, come qualcosa lontano da noi, o qualcosa che a noi non potrebbe capitare perché non faremmo cose così imprudenti, cadendo nell’altrettanto diffuso e grave pregiudizio della “colpevolizzazione della vittima”. Ci informa soprattutto sulle caratteristiche e la molteplicità di violenze on line sulle donne, ci dà la dimensione di un fenomeno di cui a volte ci sfugge la dimensione e l’insidiosità. Si parla spesso della rivoluzione digitale che abbiamo vissuto in questi anni, ma fanno comunque impressione i semplici dati che fornisce l’incipit del libro: “ Secondo Il Global Digital Report 2023 le persone connesse a Internet nel mondo sono 5,16 miliardi, in Italia quasi 51 milioni su una popolazione di circa 60 milioni, mentre quelle attive sulle piattaforme social sono 4,76 miliardi nel mondo e oltre 43 milioni in Italia( la sola Facebook conta circa 35 milioni di utenti).” Numeri che danno l’idea delle dimensioni del dominio cyber, quello che la Nato considera il quinto dominio nel quale si esercita la sovranità nazionale, insieme a quello terreste, acquatico, aereo, spaziale. Come chiarisce il Direttore del Servizio Polizia Postale e delle Comunicazioni, dott. Ivano Gabrielli, intervistato da Lara Ghiglione :“Oggi, di fatto, non esiste un oggetto, un prodotto economico, che non abbia a che fare con il mondo cibernetico, considerando che i modelli di produzione, di distribuzione, il trasporto con il quale un bene viene spostato da una parte all’altra, avvengono attraverso servizi offerti in rete e di protocolli di comunicazione e tecnologie che hanno a che fare con il mondo cyber e con quello digitale. Lo stesso principio vale per i rapporti sociali”.
Di conseguenza anche i crimini più diffusi hanno in maggiore o minore misura a che fare con la dimensione cibernetica; a volte la dimensione cibernetica viene usata per progettare, programmare il crimine e reclutare la persona che lo porti a termine, altri reati contro la persona avvengono esclusivamente attraverso la dimensione digitale, come minacce, molestie, cyber stolcking , romance scams (una tipologia di truffa on line , nella quale si fa leva sui sentimenti di un’altra persona per estorcere denaro), sextorsion (letteralmente “estorsione sessuale”), revenge porn (diffusione di immagini intime senza il consenso del titolare dell’immagine stessa). Molti di questi crimini colpiscono particolarmente le donne. Durante il Covid -19 e il lockdown è stato registrato un incremento della violenza domestica esercitata sulle donne, ma anche un aumento della violenza di genere digitale, come invio di immagini sessuali esplicite (cyber flashing), tweet d’odio contro le donne , cyber bullismo, che sembra essere diventato la prima causa di morte per le adolescenti tra i 15 e i 19 anni. Un altro fenomeno che ha assunto proporzioni preoccupanti è stato quello della violenza verbale on line, tanto che è stata creata una definizione specifica “internet hate speech”, che si riferisce a “comportamenti verbali violenti, minatori, irrispettosi dell’altro (soprattutto delle minoranze) che creano un clima di ostilità”. Autori ne sono i cosiddetti leoni da tastiera che si sentono forti per l’anonimato fornito da un profilo falso e del resto è stato rilevato che anche senza anonimato quando si è davanti a uno schermo invece che davanti a una persona reale si tende a perdere la percezione del proprio comportamento, fino a poter arrivare a esercitare violenza.
Un esempio di messaggi d’odio contro le donne è costituito dall’azione di gruppi consolidati, che sentendosi forti per la condivisione del gruppo, il cosiddetto effetto echo chambre, indirizzano messaggi estremamente violenti per esprimere il proprio disgusto per le idee e il pensiero femminista, e definiscono le attiviste di queste associazioni “feminazi”, sincrasi di “femminista” e “nazista”. Le autrici ricordano come Michela Murgia si stata una grande vittima della violenza verbale on line ed è sconvolgente rileggere i termini che le venivano indirizzati. La scrittrice , assistita dall’avvocata attivista Chathy la Torre, ha intentato diverse cause civili con la richiesta di risarcimento danni e scuse esplicite, ma subendo tuttavia importanti conseguenze psicologiche. Vengono descritte le comunità Incell, costituite dai cosiddetti “ celibi involontari” i quali odiano le donne perché ritenute responsabili della loro forzata astinenza sessuale in quanto essere inferiori, incapaci di scegliere con raziocinio i loro patner. Alcuni di essi si sono resi responsabili di stragi in diverse parti del mondo. Revenge porn (vendetta porno), cioè la diffusione non consensuale di immagini private o sessuali anche da parte di un ex patner, è un reato di cui le autrici contestano la definizione, in quando la parola vendetta potrebbe indurre a pensare a una qualche responsabilità della vittima. Sono nati sul web molti gruppi chiusi creati da uomini che si scambiano foto e video intimi di donne ignare. A volte gli autori sono compagni delle stesse, ma possono essere anche estranei che pubblicano immagini tratte da internet o di donne ritratte in situazioni pubbliche come una spiaggia. Un doppio o triplo reato è poi costituito dagli stupri collettivi che vengono ripresi con gli smartphone le cui immagini alimentano un business. Ma in alcuni casi le immagini vengono esibite sul web come un trofeo, uno scalpo, come sostiene lo psichiatra Vittorino Andreoli, fino ad affermare che senza social i responsabili non avrebbero commesso lo stupro.
Le conseguenze psichiche e sociali sulle vittime di violenze come il revenge porn o gli stupri con diffusione di immagine sono gravissime, portando a isolamento, disturbi alimentari e casi di suicidio. L’aggravante di queste violenze on line è l’incontrollabilità della diffusione, tanto più che ripulire la rete e ottenere “l’oblio mediatico” è difficile da realizzare e richiede agenzie specializzate con costi altissimi. Dopo anni di lotte delle donne per sensibilizzare al problema del femminicidio e dalla diffusione della stessa parola femminicidio come omicidio di genere le autrici sono costrette a dedicare alcuni capitoli al problema e a contestare il negazionismo praticato in alcuni siti e blog sia rispetto alle violenze di genere che ai femminicidi, provando a minimizzare i fenomeni e sostenendo l’inutilità di aver coniato un termine specifico per l’uccisione di donne in quanto donne. Molto toccanti sono i capitoli dedicati alle storie di alcune donne che hanno subito violenza e le interviste a persone che le conoscevano bene e che cercano di restituire dignità alla loro memoria dopo che alcuni sconosciuti sul web le hanno “ ferite a morte”. Alessandra Matteuzzi, uccisa con 22 martellate dal fidanzato, colpevole per molti che nemmeno la conoscevano di avere scelto un compagno molto più giovane di lei. Tiziana Cantone si suicida dopo aver intrapreso inutilmente una lunga lotta per far rimuovere dal web un video che la ritraeva in atti intimi, finito in siti hard e diffuso tramite Whatsapp. Ma le autrici raccontano anche la speranza. Le cose sono andate meglio a Diana Di Meo, vittima di ripetute violazioni del suo telefono che hanno portato a circolare sul web un video di un suo rapporto consensuale col fidanzato che lei non aveva inviato a nessuno. Dopo due settimane di angoscia e di dolore Diana riesce a reagire, denuncia l’accaduto alla polizia postale, trovando sostegno e professionalità per il suo caso e riuscendo anche grazie all’appoggio del compagno e alla tenacia a riprendere in mano la sua vita.
Doloroso è il caso di Carolina Picchio, una ragazzina di quattordici anni che durante una festa di adolescenti perde i sensi, forse ha bevuto, forse qualcuno le ha fatto assumere in qualche bevanda GHB, la droga dello stupro. Mentre è a terra in stato di incoscienza alcuni ragazzi la accerchiano simulando atti sessuali e girando un video che viene dato in pasto al web. Carolina non regge alla diffamazione mediatica e si butta dalla finestra della sua cameretta. In seguito a questo doloroso episodio la senatrice Elena Ferrara, che era stata insegnante di Carolina, diventa prima firmataria della legge71/17 “Disposizioni a tutela dei minori per la prevenzione e il contrasto del fenomeno del cyberbullismo”. Certamente la situazione dei giovani preoccupa molto, come dimostra il fenomeno delle challange on line, sfide lanciate sui social, che prevedono il superamento di una prova con la testimonianza di un video. Sono prove pericolose come il “Blackout”, che consiste nel legarsi una corda o una sciarpa al collo per provare la propria resistenza o crudeli come la “Boiler Summer Cup” che consiste nel sedurre il maggior numero di ragazze sovrappeso sempre con la prova del video, cui seguono gli immancabili orribili commenti. E’ una sfida questa che condensa in sé body shaming, cyber bullismo, sessismo e violenza di genere. Alla fine del libro condividiamo quei sentimenti di indignazione e di orrore verso i fatti di cronaca che ormai ci vengono comunicati quotidianamente che hanno motivato le autrici a scrivere sottolineando come le donne sono doppiamente vittime, in primo luogo dei reati di cui abbiamo parlato, poi della gogna pubblica subita sul web. Il libro si conclude con indicazioni concrete da intraprendere per potenziare il ruolo della scuola, della famiglia, di un’adeguata legislazione per contrastare questi fenomeni, ma lancia anche con un appello a ciascuno di noi a non essere uomini e donne giudicanti, ma di provare a capire e difendere chi è vittima di questi reati.