Certe stanze, anche se avvolte dalla quiete, sanno parlare. E quella in cui giaceva Ali Rashid, la sua camera ardente, discreta, composta, umana, parlava con la forza mite di chi non ha mai ceduto all’odio, nemmeno quando sarebbe stato comprensibile farlo. Sono entrato con passo felpato, nel silenzio raccolto di chi sa che sta varcando una soglia. E ne sono uscito con il cuore gravido di domande scomode, quelle che ti mozzano il fiato, che scombinano il ritmo del respiro e ti inchiodano all’urgenza della coscienza.
Ali Rashid non è stato solo un poeta, un parlamentare, un intellettuale: è stato, prima di tutto, un uomo vero. Uno di quelli che resistono con la schiena dritta e lo sguardo mite, che non cedono al compromesso della rassegnazione. Palestinese, sì, e con l’orgoglio antico e profondo di chi ama la propria terra non per possederla, ma per custodirne la memoria e sognarne il futuro. Non ha mai smesso di abitare la Storia, come si abita una casa fragile ma necessaria.
Ha lottato per una Palestina libera e democratica, non piegata al fanatismo né al cinismo delle potenze. La sua è stata una resistenza gentile, ma incandescente, colta, dialogante. Era una voce ferma nel silenzio, una luce che non ha mai smesso di brillare nemmeno quando tutto intorno si faceva buio. Buio di parole e di coscienze, soffocato oggi più che mai dal pesto ideologico, dai rigurgiti nazionalistici e sovranisti che chiudono gli occhi davanti alla sofferenza dei popoli e al diritto universale alla libertà.
A Orvieto, Ali aveva scelto di vivere. E lo aveva fatto con la sobrietà di chi non ama il clamore, ma anche con la fierezza di chi non rinuncia mai alla verità. Per questo, nella sala in cui riposava, ogni persona presente sembrava portare un frammento del suo messaggio: una carezza che è anche una chiamata, una poesia che è anche una protesta, un addio che non è una resa. Eppure, a quel saluto mancava qualcosa. Anzi, qualcuno. Né segni, né presenze, nessuna parola da parte della sindaca Tardani e della sua giunta di centrodestra.
Nessuna partecipazione istituzionale a rendere omaggio a un uomo che ha incarnato i valori della pace, del dialogo, della giustizia. Nemmeno un fiore. Un silenzio, questo sì, davvero assordante. E, per chi rappresenta una comunità, semplicemente imperdonabile.