Questo lunedì di aprile cade a pochi giorni dall’ottantesimo anniversario della Liberazione dell’Italia dal nazifascismo: un 25 aprile che ha avuto in tutto il paese una luce splendente e una fortissima partecipazione, nonostante il tentativo di spegnerne il significato, poco “sobriamente”.
In questi giorni è morto Papa Francesco: ci mancherà.
Il vicentino è ancora in lutto per la morte di Leone e Francesco Nardon precipitati nella voragine aperta dal crollo del ponte dei Nori, a Valdagno, durante una bufera eccezionale. Rivolgiamo un pensiero dolente alla famiglia e a tutta la comunità per questa perdita.
Abbiamo chiesto a Franca Dal Maso di raccontare Teresa, la partigiana Wally, che non è con noi questo 25 aprile. Aveva compiuto cento anni lo scorso settembre. Ci mancherà: era sempre presente in tutte le manifestazioni per ricordare e nelle scuole a raccontare le storie e i valori della Resistenza. Teresa rifiutò la tessera fascista e scelse di aderire alla Resistenza: divenne staffetta partigiana impegnata anche in missioni importanti e pericolose. Sono molte le donne che fecero questa scelta. Dal convegno «L’Altra Metà della “Resistenza”, un incontro fra generazioni sulla via della liberazione femminile, tenutosi a Milano nel novembre 1977, nasce il libro con lo stesso titolo: si sostiene che l’esercito di liberazione era composto in maggioranza di donne. Riportiamo le parole di un comandante partigiano come Arrigo Boldrini «… intorno ad ogni patriota ci sono almeno quindici persone, in grande maggioranza donne».
Anche nel vicentino le donne partigiane sono state tante, almeno 1500 (fonte ISTREVI). Di molte conosciamo il nome e anche la storia, grazie al lavoro di storiche appassionate. Potremmo in questo ottantesimo della Liberazione prenderci l’impegno di studiare ancora e far emergere le tantissime donne che ancora sono “sommerse”.
Durante la prima guerra mondiale molte donne sostituirono gli uomini nei luoghi di lavoro senza però ricavarne il diritto ad essere lavoratrici. Si era trattato di una situazione di necessità ma anche della prima opportunità verso l’emancipazione perché inizia una nuova consapevolezza di sé che si scontrerà subito con il dopoguerra carico di violenza, che ricaccia le donne nel ruolo tradizionale accentuato dal patriarcato fascista che tuttora pervade, in forme diverse, la cultura italiana.
Si può dire che le donne iniziarono prima la resistenza. L’esempio di Camilla Ravera è molto significativo: una maestra che fondò “L’Ordine Nuovo” insieme a Gramsci Togliatti e Terracini, il primo maggio 1919. In una conversazione con Rossana Rossanda che le chiede “perché l’abbiamo chiamata Resistenza, questa lotta?” Risponderà: “Quando si è cominciato, e precisamente nel 1922, non si chiamava Resistenza; si chiamava antifascismo. Era un termine preciso, diretto, contro il fascismo… (da “Le altre”, 1979). Camilla è una delle numerose donne che iniziarono la loro resistenza già in quegli anni: a Torino nel 1917 è con le operaie protagoniste dell’insurrezione contro la guerra, per il “pane” con lo slogan: chi non lavora non mangia ma chi non mangia non lavora. Anche gli uomini aderiranno alla manifestazione; in quell’occasione sarà arrestata per la prima volta. Le donne, già protagoniste negli scioperi della primavera 1943, con l’8 settembre cessano di essere “invisibili”. Un primo esempio eroico: durante le Quattro giornate di Napoli (27-30 settembre 1943), le donne e i ragazzi sono l’anima dell’insurrezione popolare che libera la città prima dell’arrivo degli alleati. L’avvenimento valse alla città di Napoli la Medaglia d’Oro al Valor Militare; le vittime e i feriti hanno coinvolto al 50% civili, donne e bambini. Dopo l’8 settembre molte donne aderiscono ai GAP (Gruppi di Azione Patriottica) e alle diverse brigate di partigiani, come Franca racconterà della partigiana Teresa. Più tardi alcune donne promuoveranno i GDD (Gruppi Difesa Donna). Si potrà leggere su proposta di Ada Gobetti che i gruppi GDD coinvolgeranno le donne, a non pensarsi solo madri, a partecipare attivamente e coscientemente alla resistenza, oltre la guerra per una società libera e democratica, più giusta per tutti.
Possiamo senz’altro dire che senza la Resistenza e senza anche quelle donne “resistenti” l’Italia non si sarebbe liberata. Non si sarebbe verificato “quella specie di miracolo della ragione – come lo definì Calamandrei -, che una Repubblica sia stata proclamata per libera scelta di popolo mentre era ancora sul trono il re” e, possiamo aggiungere, che le donne dal 10 marzo 1946 votarono per la prima volta …e fino alla Costituzione della Repubblica Italiana che è antifascista.
“…Non ci può essere pace soltanto per alcuni. Benessere per pochi, lasciando miseria, fame, sottosviluppo, guerre, agli altri. È la grande lezione che ci ha consegnato Papa Francesco.
Ecco perché è sempre tempo di Resistenza, ecco perché sono sempre attuali i valori che l’hanno ispirata. (Sergio Mattarella, Genova 25 aprile 2025)
MGG
LA PARTIGIANA TERESA PEGHIN “WALLY”
di Franca Dal Maso
Teresa Peghin “Wally”: una donna piccola di statura ma immensa come persona e partigiana.
Nacque il 23 settembre 1924 a Selva di Trissino da Ettore e Chiarello Antonia, seconda di cinque fratelli. Era una ragazza timida, dolce e sottomessa al volere dei genitori. Amava andare dalla nonna nella zona di Nogarole dove era libera di correre sui prati e, come lei raccontava spesso, “mi sentivo come Haidi, ero una selvaggia”
Il padre Ettore, calzolaio, era un tipo severo, come lo erano tutti i padri di allora, dovendo guidare una famiglia abbastanza numerosa in mezzo alle difficoltà economiche e sociali di quel tempo. Era un fiero oppositore del fascismo e non prese mai la tessera del fascismo e non la fece prendere nemmeno ai suoi figli, subendone tutte le conseguenze. Così Teresa, chiamata da tutti Teresina, che all’età di 14 anni avrebbe potuto andare a lavorare in fabbrica da Marzotto, ne rimase esclusa perché non tesserata.
Dopo la costituzione della Repubblica Sociale di Salò, il fratello di Teresa, Pietro, non si presentò al richiamo alle armi e divenne il partigiano “Claudio”. Anche il padre collaborava con la Resistenza con il nome di battaglia “Oddo”.
Teresa crebbe, quindi, in una famiglia convintamente antifascista e quando Alfredo Rigodanzo “Catone”, commissario politico della brigata Stella, le chiese di diventare staffetta, lei accettò volentieri supportata dalla famiglia che condivideva la sua scelta partigiana.
Era l’inizio dell’anno 1944 e iniziò a svolgere il suo ruolo collaborando con i partigiani tenendo i collegamenti tra i vari gruppi. In questo frangente le fu dato il nome di battaglia “Wally”. Non operò solo nella zona di Selva ma anche a Fonte Abelina a Recoaro Terme e in tutta la valle dell’Agno fino a Staro.
Le missioni che le venivano affidate diventarono sempre più impegnative e rischiose e la costringevano a spostarsi frequentemente in luoghi anche lontani: Vicenza, Padova, Udine. Non sparò mai un colpo ma le sue azioni ebbero una grande importanza tattica e strategica.
La sua figura mingherlina e il suo aspetto dolce erano formidabili lasciapassare: nessuno si immaginava che quella ragazza semplice e carina, mite e riservata, fosse una coraggiosa staffetta partigiana, capace di intrufolarsi ovunque e di superare gli ostacoli anche i più complessi ed imprevisti.
Lei non svolgeva solo compiti di recapitare messaggi ma accompagnava i nuovi venuti dai comandanti, si recava a fare spese, chiamava il medico per curare malati e feriti, procurava medicinali.
Gli incarichi svolti da Wally la portarono in contatto con quasi tutti i comandanti, sia quelli di pattuglia che quelli di brigata.
Verso la fine di agosto 1944, i partigiani della brigata Stella vollero che Wally diventasse la madrina della brigata e della bandiera della brigata come riconoscimento dell’importanza del ruolo che aveva svolto, della dedizione e del coraggio che aveva sempre dimostrato. Le regalarono una pistola calibro 7,65 ma lei non la usò mai perché se gliela avessero trovato addosso, sarebbe stata compromessa. Le donarono anche una collana composta da quattro o cinque catenine d’oro, gioiello certamente prelevato in qualche casa fascista.
A guerra finita, quando Wally decise di sposarsi con Umberto Tarquini, viste le difficoltà economiche del periodo, fecero fondere la collana e con l’oro furono forgiate le fedi.
La prima missione di Teresa a Padova avvenne tra la fine di luglio e i primi giorni di agosto 1944. Fu Catone ad ordinarle di recarsi in quella città per incontrare una persona che avrebbe riconosciuto perché teneva in mano la rivista “La Domenica del Corriere”. Lei si recò all’appuntamento, consegnò i documenti che aveva ricevuto da Catone, ricevette il materiale che aspettava e ritornò a Selva di Trissino senza alcun inconveniente.
La sua seconda missione a Padova fu decisamente più delicata e rischiosa. Nella notte tra il 23 ed il 24 luglio 1944, 47 partigiani attaccarono il Presidio del Sottosegretariato della Marina di Montecchio Maggiore e, oltre ad armi e munizioni, prelevarono 18 milioni in titoli, buoni e denaro contante. Catone, dopo aver portato la valigia con tutto il bottino nella casa dei Peghin, dispose il viaggio di Teresa a Padova. Lei, obbedendo agli ordini, il 7 settembre 1944 partì per la città senza sapere cosa stava trasportando. Lei non si era mai permessa di leggere i messaggi né di indagare sui materiali che portava perchè se fosse stata catturata, non sarebbe stata in grado di dire nulla perché non sapeva nulla.
Il giorno successivo andò ad Udine a ritirare dei buoni che doveva portare a Selva e venivano usati dai partigiani per “pagare” i prelievi di cibo e altro materiale che veniva loro consegnato dalla popolazione civile. A fine guerra moltissimi buoni furono rimborsati. La notte la linea ferroviaria ad Udine fu bombardata e Teresa, che doveva tornare a Padova con un pacco da consegnare, si mise in strada a piedi sperando di trovare un passaggio. Poco dopo vide un camion targato Padova e l’autista acconsentì di portarla in città facendola accomodare nel cassone.
La mattina seguente, dopo aver riposto un paio di scarponi insieme ai buoni nella valigia, partì in treno per Vicenza. Qui la informarono che la linea ferroviaria per Valdagno era stata bombardata, così si avviò a piedi sperando di trovare un passaggio.
C’era un posto di blocco che aiutava le persone a trovare un passaggio e lei fu caricata su un’auto con 4 graduati della Marina Militare che la stavano cercando ma non avevano una sua foto. Lei fece buon viso a cattiva sorte e arrivò così a Montecchio. Fu avvisata da un marinaio che la conosceva che c’erano tre posti di blocco che l’attendevano. Non ritornò a casa ma andò dalla nonna dove trovò tutta la famiglia ad eccezione del padre.
Per Teresa cominciò un periodo di spostamenti perché non si sentiva sicura: andò prima a San Benedetto di Trissino, poi a Restena, Lovara ed infine a Spagnago.
Poiché era diventata troppo nota ai fascisti ed ai tedeschi, Catone la voleva mandare nel Veronese ma non ci arrivò mai perché, in compagnia di un’amica, si ritrovò in mezzo ad un rastrellamento nella zona di Monte di Malo e per salvarsi entrarono in una stalla fingendosi contadine. La mattina lei ripartì da sola. Ormai era inverno. Teresa si recò a Recoaro e fu accompagnata in una contrada a Rovegliana dove, per circa 20 giorni, fu accolta in un “buso” che fungeva da nascondiglio e all’occorrenza da rifugio; era ricavato all’interno di un deposito di fascine di legna e vi si accedeva attraverso un’apertura posta sotto la greppia dove mangiavano capre, pecore ed agnelli.
Fu poi spostata in contrada Balestri sempre a Rovegliana dove il rifugio era ricavato sotto terra, l’umidità era tremenda e se pioveva o nevicava, le coperte al mattino erano completamente bagnate. Teresa raccontava che le donne della contrada la sera le davano un mattone caldo avvolto in una sciarpa di lana per attenuare il freddo rigido di quel terribile inverno del 1944/1945. Era anche molto difficile procurarsi qualcosa da mangiare e raramente riusciva a mangiare qualcosa di caldo.
Teresa rimase in quella contrada fino alla Liberazione, restando sempre nascosta nei buchi dai quali usciva raramente per paura di essere individuata.
Verso la metà di aprile 1945, durante un’uscita dal buco, Ida Storti, una donna della contrada, le chiese se voleva andare a tenerle compagnia mentre faceva il bucato in una piccola valle sottostante la contrada. Mentre una lavava e l’altra sferruzzava, passò una pattuglia di fascisti: facendo finta di niente continuarono a lavare e a sferruzzare perché non avevano il tempo di nascondersi. I fascisti chiesero i documenti e Wally, con grande sangue freddo, rispose “Non vorrete che ci portiamo sempre appresso i documenti anche quando andiamo a lavare i panni!” I fascisti, allora, le invitarono a Recoaro a ballare. Teresa rispose prontamente: ”Magari! Mio padre è severo e non mi lascia proprio, ma se posso verrò, perché mi piace ballare.” Così, forse soddisfatti della risposta, se ne andarono.
Appena se ne furono andati Ida riprese l’argomento della severità dei padri e a quel punto decise di rivelare a Teresa una terribile notizia: il 26 marzo 1945 suo padre Ettore era stato ucciso dai fascisti comandati dal famigerato Emilio Tomasi, perché il fratello Pietro “Claudio”, nonostante le numerose ferite, era loro sfuggito alla cattura e per vendetta fece uccidere il padre.
Teresa fu sopraffatta dalla notizia e, seduta sull’erba, pianse tutte le sue lacrime.
Wally tornò a Trissino nei giorni della liberazione ed entrò a far parte del presidio operante in quel paese, comandato dal fratello “Claudio” che era ancora convalescente per le ferite subite nello scontro con i fascisti.
Il paese era in festa ma Teresa non partecipava perché non riusciva a superare il tremendo dolore della morte del padre. Nonostante la grande tristezza che l’avvolgeva, Wally partecipò alle sfilate a Valdagno. Ne fu orgogliosa e in quella occasione ebbe anche modo di incontrare Emilio Tomasi, comandate della Brigata Nera e responsabile dell’uccisione del padre. Quando gli fu vicina non si trattenne e con voce ferma gli chiese quale torto gli avesse fatto suo padre, aggiungendo “Credeva lei di vincere la guerra ammazzando degli innocenti?”
Venne anche per lui la resa dei conti: Tomasi fu fucilato nel campo sportivo di Valdagno. Anche Wally era tra i partigiani che lo accompagnarono al luogo dell’esecuzione.
Il periodo del dopoguerra fu triste perché, invece di trovare riconoscenza per i sacrifici fatti e per la ritrovata libertà, i partigiani furono oggetto di incomprensione fino a trasformarsi in aperta ostilità. La loro vita diventò sempre più difficile, erano indicati a dito e non era semplice nemmeno trovare lavoro. Ciò succedeva perché in Italia si erano formati due blocchi: uno era un consistente blocco comunista e fu organizzato un fronte anticomunista ancora più forte. Ci si mise anche la Chiesa che comminò la scomunica nei confronti di chi aderiva al partito comunista. Di conseguenza la gente identificò tutti i partigiani come comunisti. Questo non rispondeva sempre a verità, come nel caso di Wally che ha sempre sostenuto e praticato i valori del cattolicesimo. Vennero licenziati dalla Marzotto, molti dovettero emigrare, Umberto Tarquini, che amava la vita sociale e politica, ne fu escluso perché aveva sposato Teresa. Come non bastasse hanno poi visto i fascisti, anche i peggiori, anche i condannati a morte dai tribunali regolari, tornare in libertà. Tuttavia, anche davanti a queste ingiustizie non si sono mai lasciati prendere da sentimenti di odio o di vendetta, in loro hanno trovato posto solo amarezza e delusione.
Teresa e Umberto Tarquini, con il frutto del loro lavoro, si sono sistemati. Hanno costruito la loro casa ed hanno avuto ben sette figli.
Dopo la morte di Umberto Teresa ha continuato a vivere circondata dall’affetto dei figli, dei nipoti, dei pronipoti e dei tantissimi amici che la circondavano. Per la sua famiglia, per tutti gli amici ed i compagni è sempre stata una roccia ed un faro, una presenza sempre sorridente e accogliente.
Le vicende qui riportate sono state raccontate da Teresa Peghin “Wally” non senza un certo travaglio, dovuto soprattutto al dolore mai sopito che esse inevitabilmente hanno riacutizzato nella sua memoria. Ugualmente ha voluto narrare quegli avvenimenti nelle scuole e alle manifestazioni, precisando più volte che non lo faceva assolutamente per mettersi in mostra, ma per far conoscere soprattutto ai giovani cosa succede quando si affermano forze che negano la libertà di pensiero e di azione, che disprezzano la dignità delle persone, che esaltano la prepotenza, gli egoismi e i personalismi.
Fino all’ultimo respiro, come diceva lei, ha portato avanti i valori della Resistenza, della Pace, della libertà e della Costituzione.

Per il suo 100° compleanno la famiglia e l’Anpi hanno organizzato una grande festa con 150 persone: 60 parenti e 90 dell’Anpi. Sono stati presenti anche i sindaci di Cornedo Vicentino, di Valdagno e di Chiuppano. Lei era raggiante: ha intrattenuto tutti i presenti fino al tardo pomeriggio chiacchierando e anche cantando “Bella Ciao”.
E’ venuta a mancare il 7 marzo 2025 lasciando un grandissimo senso di vuoto in tutti noi.
Al suo funerale erano presenti una miriade di persone insieme ai dirigenti provinciali e a tantissimi iscritti dell’Anpi con 24 bandiere delle varie sezioni vicentine, 6 gonfaloni dei comuni di Recoaro Terme, Valdagno, Cornedo Vicentino, Brogliano, Montecchio Maggiore e Chiuppano con i relativi Sindaci. Era presente tutta la sua grande famiglia: i figli e i nipoti l’hanno ricordata commuovendo tutti i presenti. Sono sicura che lei ci vedeva e sorrideva felice che tante persone la ricordassero.
Franca Dal Maso è Presidente dell’ANPI di Valdagno, Vice Presidente provinciale e coordinatrice delle donne dell’Anpi della provincia di Vicenza che hanno dedicato a Teresa questa poesia di Alda Merini
Sorridi donna
sorridi sempre alla vita
anche se lei non ti sorride
Sorridi agli amori finiti
sorridi ai tuoi dolori
sorridi comunque.
Il tuo sorriso sarà
luce per il tuo cammino
faro per naviganti sperduti.
Il tuo sorriso sarà
un bacio di mamma,
un battito d’ali,
un raggio di sole per tutti.