Rai, possiamo rassegnarci alla fine del servizio pubblico?

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Un comunicato dell’Usigrai denuncia che le trasmissioni di approfondimento informativo mandate in onda da quelle che in tempi assai migliori si chiamavano “reti” «devono essere assegnati ad una “struttura editoriale” formalmente istituita nell’ambito di una direzione di genere ed avente un responsabile di struttura». Il quale eserciterà «la gestione editoriale di ogni programma», in nessun caso «affidabile al conduttore».

Questo dice la circolare dell’AD Giampaolo Rossi che, non riuscendo a controllare fino in fondo programmi come “Report”, ma anche “Il cavallo e la torre”, “Presa diretta” e qualche altro, ha deciso di esercitare un controllo diretto attraverso ancora non meglio specificate strutture editoriali.

Cose mai viste. Che andrebbero contrastate con uno sciopero immediato, occupazione delle sedi Rai, manifestazioni sotto Viale Mazzini, peraltro possibili ancora per pochi giorni. Si è invece ancora in attesa di un commento da parte della FNSI. Si continuano a organizzare convegni. Non si intravedono dimissioni di nessuno. Ma possiamo rassegnarci a non avere più un servizio pubblico che parli a tutti i cittadini che pagano il canone?

Intanto il 31 gennaio, come fosse un segno del destino iconicamente rappresentato, i dipendenti usciranno da Viale Mazzini disperdendosi in varie sedi della Rai, perché la tolleranza per le perdite di amianto è andata troppo oltre e adesso, per ordine della ASL, il palazzone di vetro chiude forse per sempre.

Il regime che ormai ci governa ha occupato militarmente ciò che appartiene a tutti noi, ma le complicità, e soprattutto l’eccessivo e tim ido silenzio di chi pure è contrario a tutto questo è quasi altrettanto grave.


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