La mattina di speranza del popolo giallo a piazzale Clodio

0 0

Le “donne in giallo” sono le prime ad arrivare, molto presto, nell’angolo di piazzale Clodio da cui si accede alla cittadella giudiziaria di Roma. Indossano magliette gialle, distribuiscono rose gialle, hanno spille, braccialetti, cartelli dedicati a Giulio, un ragazzo che potrebbe essere loro figlio o fratello, ucciso da un regime senza che sia stata fatta ancora giustizia. E’ un ottima ragione per stare qui, di nuovo, al presidio che si rinnova ad ogni udienza nel processo contro i torturatori e assassini egiziani, che non riesce a partire perché in Italia, diversamente che in Egitto, i diritti basilari sono assicurati a tutti, anche agli imputati di reati così gravi. Alle 10 la piazza è piena di attivisti, giornalisti, operatori e tante persone “normali” che non mollano sul caso Regeni. Articolo 21, che segue questa storia dal primo giorno,  tramite il coordinatore dei presidi Giuseppe Giulietti, è lì con lo striscione a segnare il punto su un concetto di fondo: la morte di Giulio Regeni non è un affare della sua famiglia ma ci riguarda tutti e attiene alla possibilità dei cittadini italiani di muoversi liberamente. Giulietti lo ribadisce pochi minuti prima dell’arrivo della famiglia Regeni: “Siamo qui, ancora una volta e ci saremo ad ogni udienza perché la storia di Giulio è una storia nostra. La famiglia Regeni come tutte le altre famiglie, penso ai Rocchelli e ai Paciolla per esempio, non sta portando avanti una battaglia di verità per Giulio soltanto e questo già meriterebbe profondo rispetto. No, stanno facendo una battaglia per i diritti civili”. Alle 10.10 arrivano i genitori di Giulio Regeni accompagnati dall’avvocato Alessandra Ballerini; sono accerchiati dai microfoni e ancora una volta danno un messaggio di civiltà. “Noi crediamo che questa vicenda debba essere oggetto di un processo da celebrarsi nel rispetto di tutte le parti ma da celebrarsi. Siamo fiduciosi nella giustizia e andiamo avanti per Giulio e per tutte le Giulie e i Giulio del mondo”. Poi l’ingresso in aula, da dove usciranno quasi tre ore più tardi con un verdetto preliminare favorevole, ossia l’invio degli atti alla Corte Costituzionale perché valuti la possibilità di avviare il processo a carico dei torturatori e assassini (individuati come tali) di Giulio, anche se non si riesce a notificare loro l’avvio del procedimento nelle modalità classiche. Sul piazzale restano decine di attivisti, alcuni nomi noti come Stefano Galieni, Elisa Marincola, Vincenzo Vita, Pif, l’ex presidente della Camera Roberto Fico; ci sono i vertici degli organismi di rappresentanza dei giornalisti: il presidente del Consiglio Nazionale dell’Ordine, Carlo Bartoli, la segretaria Paola Spadari, il Presidente della Fnsi, Vittorio Di Trapani.  Nessun esponente del Governo italiano che, anzi, ha declinato, su parere negativo dell’Avvocatura di Stato l’escussione come testimoni del Presidente del Consiglio e del Ministro degli Esteri. “Crediamo che questa vicenda abbia molto a che vedere con la libertà di espressione – ha detto Bartoli – e con il ruolo dei giornalisti, ecco perché oggi siamo qui a testimoniare la vicinanza alla famiglia e l’adesione alla battaglia di civiltà e democrazia che stanno portando avanti”. Per il Presidente della Fnsi, Di Trapani “l’accertamento della verità sul caso Regeni deve passare da un processo e non si possono utilizzare eccezioni procedurali per evitare la Giustizia italiana”.
Il popolo giallo resta a piazzale Clodio sino alla fine dell’udienza e aspetta l’intervento dell’avvocato Ballerini, che una volta uscita dal Tribunale dice: “E’ stato fatto un passo avanti, il giudice ha accolto la nostra istanza e chiesto alla Consulta di valutare. Noi continuiamo a chiedere verità e giustizia”.
Sul marciapiede ci sono ancora alcuni lumini gialli accesi al mattino, accanto al cartello con l’immagine di Giulio Regeni e la frase simbolo di questa battaglia legale e sociale: #giuliosiamonoi



Iscriviti alla Newsletter di Articolo21