Iervolino, l’editore che non ama i giornalisti (e i giornali) d’inchiesta

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“Lo ha scritto l’Espresso”. I pezzi del più importante settimanale italiano hanno sempre dato un suggello inattaccabile alla narrazione dell’Italia più scomoda e indicibile. E, in fondo, deve essere questo il motivo per cui ciò che accade a L’Espresso è un po’ lo specchio di ciò che accade al resto del Paese. Il “licenziamento” del direttore Lirio Abbate non è una vicenda che riguarda soltanto quel giornale e quella redazione. Per capirne la portata ulteriore serve rivedere la biografia dell’editore anche alla luce di una vicenda che racchiude in sè tutto il peggio del rapporto tra economia e informazione, tra libertà di espressione e bavagli legittimati dall’ordinamento, tra chi ha molti soldi e chi ne ha molti meno, tra giornalismo garantito e precariato, tra l’Italia virtuale e quella reale. L’Espresso è da alcuni mesi nelle mani di Danilo Iervolino ex patron dell’Università telematica Pegaso e socio rilevante di Bfc Media. Non si può dire che ami i giornalisti liberi o autori di inchieste importanti e spinose, come quelle “stile Espresso”. Anzi alcuni di questi li odia, quantomeno li perseguita. Uno si chiama Nello Trocchia, un cronista della Campania profonda che dieci anni fa si è messo a scrivere, uno per uno, quali erano i consigli comunali sciolti per mafia, poi è passato alla storia dei Casamonica e nel 2020 è stato autore di uno scoop memorabile sul pestaggio avvenuto il 6 aprile di quell’anno nel carcere di Santa Maria Capua Vetere. Quest’ giornalista si chiama Nello Trocchia e ha il vizio di scavare in storie illeciti, dentro rapporti perversi tra privati e pubbliche amministrazioni. Qualche anno fa ha scritto anche di una università privata di Napoli, l’ateneo Pegaso di Iervolino. Un articolo su cui si è innescata una delle azioni legali più perniciose tra le molte che colpiscono i giornalisti italiani. Nonostante finora l’articolo “incriminato” sia stato considerato non diffamatorio si va avanti. Iervolino contro il gruppo L’Espresso è una causa ancora in piedi. A dicembre 2021 l’ottava sezione del Tribunale civile di Napoli ha rigettato la domanda risarcitoria pari a 38 milioni di euro avanzata dal Presidente dell’Università Telematica Pegaso contro i giornalisti Nello Trocchia e Corrado Zunino e il Gruppo Editoriale L’Espresso. Tutto era iniziato in sede civile ad aprile 2018 e ancor prima davanti al giudice penale. E’ una causa esorbitante sotto diversi profili, tanti che il caso Pegaso-Trocchia-Espresso è uno di quelli al vaglio del Parlamento Europeo nell’ambito del dibattito sulla Direttiva anti Slapp e lo stesso Nello Trocchia è stato audito in merito. La citazione per danni ha riguardato i due giornalisti (Trocchia e Zunino), i rispettivi direttori, la società editrice. Danilo Iervolino in primo grado aveva presentato la citazione in proprio e quale presidente della Pegaso spa e, oltre a lui, hanno firmato la domanda risarcitoria altre 137 persone tra dipendenti e docenti della stessa università. L’ipotesi era quella del danno che sarebbe stato procurato tra tre articoli di cui non è stata mai accertata la portata diffamatoria, anzi all’esito di uno dei due giudizi cautelari, relativamente all’articolo del giornalista Nello Trocchia era già stato riconosciuto dal Tribunale di Napoli che i fatti descritti in esso erano tutti corrispondenti al vero. Poteva finire così, in primo grado, a dicembre 2021. Invece no. A marzo 2022 Iervolino ha portato a termine la trattativa col gruppo Gedi per acquistare L’Espresso e nei termini di legge dalla pubblicazione della sentenza del Tribunale ha impugnato in Appello il giudizio di rigetto del risarcimento, chiedendo danni per due milioni di euro, questa volta da solo perché i docenti non lo hanno seguito. Nello Trocchia si è costituito nel giudizio tramite l’avvocato Virginia Ripa di Meana e la prima udienza è fissata per novembre 2023. Dunque Iervolino resta controparte de L’Espresso e di giornalisti che hanno scritto di lui lavorando in quel gruppo editoriale. Sul piano formale e giuridico non vi è alcuna incompatibilità. Ma l’editore di un grande giornale può avere una simile considerazione dell’informazione? Può continuare ad “inseguire” un cronista che ha scritto della sua società fatti già ritenuti veritieri, continenti e di interesse pubblico in plurimi giudizi, pur essendo ancora legittima l’impugnazione in altro grado? Come si comporterà un editore con tali idee davanti alle inchieste giornalistiche aggredite da poteri economici e politici? Le azioni legali temerarie contro i giornalisti sono frequentissime in Italia, al punto da essere definite un bavaglio e forse gli editori dovrebbero condividere almeno il principio.


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