Bin Salman e Julian Assange: asimmetrie criminali

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Nel procedimento avviatosi per l’omicidio straziante (il corpo tagliato a pezzi e chiuso in una valigia) del giornalista del Washington Post Jamal Khashoggi avvenuto nel 2018 nel consolato saudita a Istanbul, per il principe ereditario Mohammed bin Salman è stata richiesta l’immunità. Visto che è il capo del governo in carica, tale salvaguardia rientrerebbe nelle logiche e nei linguaggi della diplomazia. Tuttavia, siamo di fronte ad un caso terribile, pendendo sul principe suddetto (pur frequentato, notoriamente, da Matteo Renzi) l’accusa intentata dalla compagna del giornalista giustiziato di essere il mandante del misfatto. Lo dice, peraltro, il rapporto della rappresentante delle Nazioni Unite per il Council dei diritti umani Agnes Callamard. E lo afferma persino la CIA. Il corrispondente del quotidiano statunitense non piaceva ad un regime del tutto intollerante nei riguardi di mere critiche o inchieste non addomesticate. Viene voglia di urlare il nostro sconcerto e una profonda indignazione. Mentre si accorda una ben discutibile guarentigia ad un oligarca accusato di complicità in un efferato delitto, langue in un carcere speciale di Londra Julian Assange, che rischia l’estradizione negli Stati Uniti dove incombe una condanna a 175 anni di detenzione. Com’è possibile che l’aria serena dell’Ovest si acconci a dare una patente di rappresentante istituzionale intoccabile a chi merita l’Inferno e si vendichi contro il fondatore di WikiLeaks cui l’informazione democratica è debitrice per l’eternità? È come affermare che l’impunità vale per eccidi e omicidi di Stato. Mentre chi mette il naso negli arcani è un nemico pubblico. Senza Assange e i suoi collaboratori non sapremmo quasi nulla dei misfatti delle guerre in Iraq e Afghanistan, nonché dei dialoghi non commendevoli tra le cancellerie. È il capro espiatorio di una orribile tendenza che emerge nella torsione autoritaria di gran parte del mondo. Gli arcani del potere non possono e non devono essere conosciuti. Cittadine e cittadini, in base a simile degenerazione, sono sudditi e non soggetti consapevoli. Una vera e propria vergogna. Ci rivolgiamo a coloro che hanno ancora un volto umano a mettersi una mano sulla coscienza e garantire un processo senza omissioni e privilegi sul caso Kashoggi. E che si blocchi subito il martirio cui è sottoposto Assange. Insieme alle migliaia di persone che si sono mobilitate contro l’estradizione del giornalista australiano, ci appelliamo a coloro che nelle istituzioni hanno a cuore giustizia, etica e verità. Oggi Kashoggi e Assange, ma domani?

(Nota del  Comitato “La mia voce per Assange”)
(Nella foto Jamal Khashoggi)


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