“La mia vita da giornalista”. Ritratto di Sergio Lepri e dell’informazione corretta

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Il giornalismo come servizio e come passione civile.
Partigiano, difensore della libertà di stampa e maestro di giornalismo, Sergio Lepri (Firenze, 24 settembre 1919 – Roma, 20 gennaio 2022) – storico direttore dell’agenzia Ansa – ha lasciato il segno e un’importante eredità culturale a generazioni e generazioni di giornalisti.
Non solo una professione – è giornalista professionista dal 1945 – quella di Sergio Lepri ma una vera e propria vocazione.
«I giornalisti cambiano insieme alla società in cui operano», dichiara il giornalista fiorentino nell’intervista contenuta nel libro La mia vita da giornalista, curato da Silvana Mazzocchi – scrittrice e giornalista, firma storica de la Repubblica. Di mutamenti di società, Sergio Lepri, ne ha vissuti davvero molti. Entra nel mondo del giornalismo sin da giovane, facendo parte di quella generazione che ha rinnovato con il suo contributo la cultura e il giornalismo stesso.
«Il giornalismo ci attirava e ci appariva uno strumento importante per contribuire al progresso. Il giornale poteva e doveva assumersi il compito di far conoscere le idee dei partiti».
Questa generazione di giornalisti si poneva come obiettivo quello di spiegare le ideologie, strane e affascinanti, di cui la gente sapeva poco o niente. Scoprirono che il giornalismo era un servizio per i cittadini e che questa professione aveva delle responsabilità di carattere sociale e politico.
«L’ho intervistato quando aveva già compiuto cento anni – racconta Silvana Mazzocchi – Per me, come per la maggior parte dei giornalisti della mia generazione, Sergio Lepri era un mito.
Rigoroso e fedele ai principi di obiettività dell’informazione, ma anche moderno e capace di guardare al futuro senza pregiudizi e senza riserve. Ha risposto per ore a ogni domanda, ha ripercorso la sua vita e la sua passione per il giornalismo, ha usato l’arte dell’ironia. Il suo racconto è una cronaca dell’Italia del Novecento, dalla Liberazione alla fine del Millennio, vista con l’occhio di un maestro di professionalità e deontologia».

In La mia vita da giornalista – con l’introduzione di Giancarlo Tartaglia (già direttore della Federazione Nazionale della Stampa Italiana e segretario generale della Fondazione sul giornalismo “Paolo Murialdi”) – Sergio Lepri, tra ricordi e aneddoti, racconta della sua vita professionale che non di rado tende a fondersi con quella personale. Infatti, il giornalista fiorentino è il perfetto esempio di colui che lavora, con e per passione, per una missione; questo lo dimostra anche il fatto che ha continuato a insegnare alla Luiss Guido Carli di Roma fino all’età di 86 anni e che fino a quando ha potuto – muore all’età di 102 anni – ha continuato a scrivere e aggiornare il suo sito (https://www.sergiolepri.it/).

Prima vicino al Partito d’Azione e poi al Partito Liberale, l’amore di Sergio Lepri per il giornalismo trovò espressione prima con il foglio clandestino L’Opinione durante la Resistenza, di cui fu l’artefice, e poi con l’assunzione da parte di un giornale finalmente libero, (anche se la guerra non era ancora finita), che era la Nazione del Popolo, quotidiano di informazione pubblicato dal Comitato di liberazione nazionale toscano, avviato alle stampa il giorno stesso della Liberazione di Firenze, l’11 agosto 1944.  Soprattutto dal 1961 al 1990 è stato il direttore responsabile dell’Ansa e, in questi trent’anni, Sergio Lepri ha fatto diventare questa agenzia una delle più prestigiose al mondo. Quello dell’Ansa, nata solo nel gennaio del ’45, era ed è tutt’ora un giornalismo differente dagli altri: un giornalismo di informazione completa e imparziale. E questo era il vero credo di Sergio Lepri: l’imparzialità dell’informazione.


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