La Pace non è uno scarto

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Vinta la guerra, sconfitto militarmente il nemico, magari fatto cadere anche il suo governo, a quel punto è possibile fare la pace”.
Volendo sintetizzare è questa l’idea dominante tra gli opinionisti con l’elmetto, i paracadutisti da divano e gli operatori di forze speciali da scrivania che da settimane chiedono più guerra per fermare la guerra e bollano (direttamente o indirettamente) i pacifisti come nemici della patria, amici del nemico, prezzolati del dittatore. Nel caso delle analisi più raffinate (ambigue) tentano di sollevare le presunte contraddizioni della sinistra pacifista, glorificando la resistenza di quei partigiani che fino al giorno prima criticavano per aver portato sanguinose rese dei conti in quella che chiamavano “guerra civile”. Una roba talmente estrema che forse persino lo scomparso Pansa, padre del revisionismo anti-partigiani, oggi se ne sarebbe meravigliato.
La guerra fa sempre danni a lungo termine e non sono solo danni materiali – lo scrivevo nel mio “Kabul, Crocevia del Mondo”, la cui copertina visualizza proprio questo concetto nascosto. Il conflitto in Ucraina non si sottrae a questa regola.
Nella categoria dei danni culturali, quest’ultimo tragico conflitto credo ne abbia fatto alcuni gravissimi: la cancellazione dal pubblico sentire della diplomazia come strumento di risoluzione delle controversie e la rimozione concettuale della pace come pratica per evitare e fermare le guerre. La pace o è stata ridotta all’equivalente di un armistizio o di un trattato di resa.

La cultura dello scarto (come la chiama il Papa) ha finito con il trasformare la pace in un sottoprodotto della guerra; non più valore autonomo, self-standing, con una propria dignità. Ormai nella discussione pubblica il valore della pace discende dalla guerra perché ne diventa il corollario.

Nei giorni scorsi ho scritto una riflessione sul PUB il pensiero unico bellicista , il mio scritto è circolato molto sui social e (non sempre citato) ha innescato anche sui media un dibattito, spero di una qualche utilità.
Una schiera di troll (un tempo li definivo fasciotroll ormai siamo ai troll neo liberisti) ha provato a ridurre la mia riflessione sul PUB a “modo per etichettare chi non la pensa come me”, una pratica quindi speculare a quella che io stavo denunciando. Altri hanno ricordato che nel teatrino dei talk show, parlano voci filo-russe e i pifferai di Putin e che quindi così il pluralismo sarebbe garantito.
Tali affermazioni riducono il problema PUB al cronometro dei una presunta par condicio, cancellando quella che è invece una deriva culturale.
Al netto del folklore da talk show, nel nostro Paese al momento, non esiste parità tra chi sostiene la guerra e chi chiede pace perchè su quest’ultimi pesa lo stigma (più o meno esplicitato) del sostegno al nemico, del tradimento, del complotto interno o – nella migliore delle ipotesi – dell’essere naïf.
Ai pacifisti viene tolta la dignità mentre la pace viene ridotta ad uno scarto. A me tutto questo fa una gran paura. E a voi?


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