Trent’anni per sempre, al Salvemini

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Era il 6 dicembre 1990 e un aereo dell’Aeronautica Militare Italiana, un Aermacchi MB-326 che stava conducendo un’esercitazione, piombò sulla II A dell’Istituto “Salvemini” di Casalecchio di Reno, a poca distanza da Bologna e dall’aeroporto “Guglielmo Marconi”. Morirono 12 alunni della II A: Deborah Alutto, Laura Armaroli, Sara Baroncini, Laura Corazza, Tiziana de Leo, Antonella Ferrari, Alessandra Gennari, Dario Lucchini, Elisabetta Patrizi, Elena Righetti, Carmen Schirinzi e Alessandra Venturi.

L’aereo era partito da Verona Villafranca e alla cloche dell’aviogetto da addestramento c’era un ragazzo di appena qualche anno più grande degli alunni del Salvemini; il sottotenente pilota Bruno Viviani, di 24 anni. Doveva effettuare il sorvolo controllato di obbiettivi prestabiliti e rientrare alla base; ma qualcosa durante il volo è andato storto e alle 10 e 22 il pilota lancia l’allarme. L’aeroporto più vicino è Ferrara, ma la struttura estense non è attrezzata per casi del genere. E si decide di dirottarlo su Bologna, dove la situazione è maggiormente gestibile. Alle 10 e 31 il pilota comunica alla torre di controllo che l’aereo non risponde più ai comandi, che è in fiamme e che deve abbandonarlo. Si lancia con il sedile eiettabile, lasciando l’aereo al suo destino. Dopo due minuti l’Aermacchi sfonda la parete del Salvemini, uccidendo dodici ragazzi.

Per quella strage nessuno è da considerare colpevole, per lo Stato italiano. Infatti il 17 gennaio 1998 la Corte di Cassazione sancì definitivamente che quanto accaduto era da considerare un fatto eccezionale e imprevedibile; a processo, a Bologna, erano stati chiamati – oltre al pilota Bruno Viviani – il colonnello Eugenio Brega e il tenente colonnello Roberto Corsini. L’accusa che muoveva la Procura felsinea era che Viviani, una volta presa coscienza della “piantata” del motore, avrebbe dovuto dirigersi vero il mare e svolgere le previste procedure in sicurezza, piuttosto che puntare su Bologna. Il processo vide in primo grado la condanna dei tre militari, a due anni e sei mesi di detenzione, ma la Corte d’Appello li mandò assolti e la Cassazione mise la parola fine alla vicenda processuale. Tutti rimasero colpiti dal fatto che l’Avvocatura dello Stato assunse la difesa dei tre imputati, opponendosi alle richieste penali dei parenti delle vittime e delle altre parti costituitesi al processo. Peccato che i dodici ragazzi si trovassero all’interno di un istituto scolastico statale, che erano affidati alla tutela da parte dello Stato italiano; ma il Ministero dell’Istruzione non ottenne il patrocinio dell’Avvocatura dello Stato.

Oggi, a distanza di trent’anni, il Salvemini si è risvegliato nel ricordo di quelle dodici vite, nel fiore degli anni. I parenti dei ragazzi si sono ritrovati e hanno rinnovato il ricordo dei figli, dei nipoti, dei fratelli e delle sorelle. E con il ricordo si è rinnovato il dolore, per una perdita che nessun risarcimento economico potrà mai compensare.

Le celebrazioni hanno visto giungere a Casalecchio testimonianze dalle più alte cariche dello Stato e delle istituzioni pubbliche.

«Sono trascorsi trent’anni dal tragico 6 dicembre del 1990 – ha scritto il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella –, in cui dodici giovani studenti vennero uccisi da un aereo militare, precipitato in fiamme sulla loro scuola, l’Istituto Tecnico Gaetano Salvemini di Casalecchio di Reno. Quelle vite spezzate sono iscritte nella memoria della Repubblica e il ricordo dei ragazzi, dei loro nomi e dei loro volti, accomuna oggi l’intera comunità civile, che si stringe ai familiari, ai superstiti, ai soccorritori di allora e a quanti negli anni hanno poi lavorato per la ricostruzione, morale e materiale. Nulla potrà mai lenire un dolore così grande. Nulla potrà cancellarlo dalla storia di una comunità. La memoria è fondamento di civiltà, e la sua condivisione genera solidarietà, coscienza, cultura. I compagni di scuola, l’associazione dei familiari delle vittime, tutta la città di Casalecchio sono stati e sono testimoni di questi valori e ancora adesso, nel ricordo dell’immane tragedia, promuovono responsabilità, unità, partecipazione. La sicurezza è un diritto di cittadinanza. Quanto accadde trent’anni or sono non deve mai più verificarsi. Responsabilità delle istituzioni è garantire norme e standard di sicurezza che assicurino sempre l’integrità dei centri abitati e l’incolumità di chi vi abita. Le immagini di quei momenti drammatici rilanciano questo monito e richiamano un impegno comune che non ammette pause o lacune».

«La comunità di Casalecchio – ha dichiarato il Presidente del Parlamento Europeo David Sassoliè l’esempio concreto di come un evento tragico può dar vita a esperienze di solidarietà e offre un grande insegnamento all’Europa in questo momento di emergenza da Covid».

«Il dolore dei familiari delle giovani vittime e della comunità di Casalecchio è il dolore di tutti gli italiani» le parole del Presidente della Camera Roberto Fico., a cui sono seguite quelle del Presidente della Regio Emilia Romagna, Stefano Bonaccini «Tragedia che scosse il Paese. Continuiamo a batterci per legge che riconosca status di vittime. Diamo un senso a queste celebrazioni: sentiamo il dovere di ricordare in una regione come la nostra, l’unica in Italia che ha una legge sulla Memoria del Novecento».

Da parte sua il sindaco di Bologna Virginio Merola ha sottolineato che «I nostri giovani studenti non sono morti per niente e, nonostante l’amarezza per le sentenze della magistratura, siamo qui per ribadire che quanto avvenuto a Casalecchio 30 anni fa non deve ripetersi mai più» a cui hanno fatto seguito quelle del sindaco di Casalecchio, Massimo Bosso «La Strage del Salvemini è una ferita ancora aperta nel cuore della nostra comunità che si stringe attorno ai familiari delle vittime con tre parole chiave: Memoria, Impegno, Solidarietà».


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