La passione politica della ‘ndrangheta dei Grande Aracri

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«Veniamo da molto lontano e andiamo molto lontano! Senza dubbio!». Parola di Palmiro Togliatti: detto, il Migliore. Mai e poi mai la guida storica del Partito Comunista Italiano avrebbe immaginato che il suo principio, molti anni dopo, lo si sarebbe potuto applicare alla criminalità organizzata, a quella ‘ndrangheta che – proprio nella terra della sua Nilde Iotti – ha trovato non solo l’indifferenza che ne ha permesso la colonizzazione delle campagne che han visto i Fratelli Cervi dar la vita per la Libertà, ma anche i presupposti perché la ‘ndrina di Nicolino Grande Aracri potesse spiccare il volo verso cieli che una cosca, governata da un contadino, come lui stesso si definisce nel corso di una deposizione al processo Kyterion, nel 2017, non avrebbe mai immaginato.

Ma andiamo con ordine. A Reggio Emilia e provincia i Grande Aracri avrebbero fatto le prove generali dell’insediamento al Nord; ma con una finalità diversa, rispetto alle vecchie mentalità criminali in cui si facevano affari con la droga, le estorsioni, il riciclaggio, la violenza. Hanno iniziato così; ma han capito presto che la strada giusta era un’altra: l’imprenditoria e la politica. Ce lo spiega il professor Enzo Ciconte, in uno studio commissionato dal Comune di Reggio Emilia nel 2008 (e probabilmente non tenuto nella giusta considerazione), in cui scriveva che: «…i mafiosi calabresi hanno agito in città; eccome se hanno agito. Hanno organizzato la distribuzione di droga, hanno richiesto e riscosso il pizzo, hanno riciclato denaro sporco. Hanno infierito sulla vasta comunità di cittadini provenienti da Cutro che da decenni oramai vivono e lavorano a Reggio Emilia, hanno loro rappresentanti nelle istituzioni locali, sono commercianti, artigiani o imprenditori affermati e stimati, lavorano in vari campi del settore dell’edilizia, sono insegnanti o impiegati; insomma fanno parte dei settori produttivi e sociali di Reggio Emilia…». Dalla canonica criminalità che si avvale della prevaricazione e delle minacce si è passati a una mentalità diversa, di mascheramento, di ammorbamento del mondo sociale, imprenditoriale ed economico. Ma se all’inizio la ‘ndrangheta dei Grande Aracri aveva la necessità di agire per interposta persona, entrando – con le buone o con le cattive – nelle grazie delle realtà politiche, economiche e burocratiche del territorio da colonizzare, in seguito ha potuto agire diversamente, inserendo propri uomini direttamente nel giro dei consigli comunali, negli uffici pubblici, nei consigli di amministrazione. Ha trovato gli spazi per creare situazioni in cui erano direttamente gli uomini della cosca ad agire per la cosca medesima. Infatti, nella recente condanna relativa al procedimento Grimilde, a Giuseppe Caruso, ex presidente del consiglio comunale di Piacenza, sarebbe stata riconosciuta l’appartenenza alla cosca Grande Aracri; e non l’associazione esterna. La famiglia di ‘ndrangheta, nel corso degli anni, si è legittimata così tanto da diventare un riferimento para-istituzionale per imprenditori e amministratori. Del resto, Nando Dalla Chiesa l’aveva scritto nero su bianco nel report su Brescello che viene stilato dall’Osservatorio sulla criminalità organizzata dell’Università degli studi di Milano: «… Brescello (paese di residenza dei Grande Aracri, ndr), dunque, ha costituito un avamposto del processo di legittimazione degli imprenditori ‘ndranghetisti e vicini alla ‘ndrangheta. Il luogo di residenza è diventato, sul lungo periodo, una roccaforte della loro reputazione positiva, dalla quale muoversi per agire all’esterno, nel territorio circostante…». Da Brescello, il cui consiglio comunale è stato sciolto per mafia nel 2016, i Grande Aracri hanno raggiunto Verona, dove nel 2012 si sarebbe registrata la presenza  di un esponente della cosca “brescellese” nei contatti dei vertici dell’amministrazione comunale, con la presenza del sindaco di allora, Flavio Tosi, a una cena con l’esponente dei Grande Aracri. La presidente della Commissione parlamentare antimafia Rosi Bindi in seguito chiese l’istituzione di una commissione d’accesso, per valutare la possibilità di arrivare a uno scioglimento dell’amministrazione scaligera. A Piacenza, la sorte del presidente del consiglio comunale è già stata definita, almeno in primo grado. Per quanto riguarda un’altra operazione, denominata Camaleonte, la magistratura ha accertato la presenza di uomini dei Grande Aracri tra le province venete di Padova, Treviso, Vicenza, Belluno, Rovigo con lo scopo di operare nel campo delle false fatturazioni, in legame con gli imprenditori della zona. In Trentino da tempo si parla della presenza del clan Grande Aracri, dove l’operazione Porfido avrebbe messo in evidenza legami societari tra Antonio Muto (uomo dei Grande Aracri) e Giuseppe Battaglia, ex assessore di Lona Lases coinvolto nell’Operazione Perfido; i due sarebbero stati soci nella Marmirolo Porfidi di Gardolo. Dall’Operazione Aemilia si trovano tracce di tentativi di condizionamento delle elezioni nei comuni di Parma (2007 e 2012), Salsomaggiore Terme (2006), Sala Baganza (2011), Bibbiano (2009), la Campegine dei Fratelli Cervi (2012). A Brescello, nel 2009, un esponente del CentroDestra candidò per il consiglio comunale Jessica Diletto, la figlia di Alfonso Diletto, parente stretto dei Grande Aracri. In una intercettazione del 2012 Alfonso Diletto parla con Maurizio Dall’Aglio, candidato sindaco della lista Forza Brescello: «…Dall’Aglio ascoltami! Allora non è che… guarda che sei venuto tu da me, tu da me per fare la lista…». Alfonso Diletto oggi è al 41bis. L’altro paese della cosca Grande Aracri è chiaramente Cutro, finito nelle attenzioni di inquirenti e Ministero dell’Interno con l’operazione Thomas e lo scioglimento del consiglio comunale cutrese in merito alla quale il ministro scrive, riferendosi ad apparati della cosca Grande Aracri, di «un costante condizionamento operato dalla locale cosca sul Comune di Cutro nella gestione degli appalti pubblici». Qualche giorno fa, l’ex Senatore Carlo Giovanardi è stato rinviato a giudizio e sarà processato nelle prossime settimane, con l’accusa di aver cercato di influenzare forze dell’ordine e prefettura di Modena in relazione all’iscrizione nella white-list di un’azienda vicina ai Grande Aracri, la Bianchini di Finale Emilia. Giovanardi era nella Commissione parlamentare antimafia e si batteva per difendere il diritto a lavorare di un’azienda che – è stato accertato nel corso del processo Aemilia – collaborava con la cosca Grande Aracri.

E oggi, l’arresto del presidente del Consiglio regionale della Calabria, con l’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa e scambio elettorale politico mafioso con la cosca Grande Aracri, per la gestione della distribuzione di farmaci, attraverso 20 farmacie in Calabria, 2 in Puglia e 1 in Emilia Romagna.

Politici e mafiosi che andavano a braccetto, passeggiando tra operazioni antimafia ai quattro angoli d’Italia. Consigli comunali al Nord e al Sud sciolti per i contatti con i Grande Aracri; e amministratori rinviati a giudizio o arrestati in mezza Italia. La passione per la politica, da parte dei Grande Aracri, è importante; e di solito trattano con esponenti delle forze di governo. Ma in Emilia Romagna i politici in qualche modo coinvolti nelle operazioni che hanno riguardato i Grande Aracri sono di minoranza.

È come se mancasse qualcosa, in questa analisi della passione politica di una famiglia di ‘ndrangheta sanguinaria e ossessionata dal legame con gli amministratori e gli imprenditori. Una cosca che non ci metteva niente a “sistemare” gli assessori «che non volevano firmare» o i giornalisti che «rompevano le scatole”». L’esatto contrario di quanto sosteneva il Migliore, quel Palmiro Togliatti il quale diceva che: «…Il nostro obiettivo è la creazione nel nostro Paese di una società di liberi e di eguali, nella quale non ci sia sfruttamento da parte di uomini su altri uomini…». L’aspirazione di ogni politico di buon senso e l’opposto di quello che vuole la criminalità organizzata, la ‘ndrangheta e i Grande Aracri.

Non si può servire la politica e la ‘ndrangheta dei Grande Aracri; ma il vero guaio di tutta questa faccenda è che certi politici sono convinti che agire nell’interesse dei Grande Aracri sia agire nell’interesse di una comunità.

È nella loro incoscienza nei confronti del bene comune il vero male.


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