La tre giorni “Parole non pietre”, uno strumento per tentare di programmare un futuro migliore

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La mattinata in largo 16 ottobre 1943, al Ghetto di Roma, ha lasciato un segno indelebile nell’animo di tutti noi a conclusione di tre giornate intense, coinvolgenti, ricche di spunti: “Parole non pietre” ha segnato un percorso non solo di formazione professionale, ma di arricchimento personale. Un inizio, non un punto d’arrivo. E la “panchina della memoria” – dedicata al giornalista Eduardo Ricchetti e ai tipografi Amedeo Fatucci, Leo Funaro e Pellegrino Vivanti, deportati dai nazisti nel rastrellamento di Roma e mai più tornati – resta un segno tangibile dell’impegno di donne e uomini di buona volontà sulla strada della verità che “se non è libera, non è vera”. Un monito per tutti, come si legge su quella panchina. La tre giorni “Parole non pietre” è stata un’intuizione di grande spessore, promossa dall’associazione Articolo21 con Fnsi, Usigrai, Ordine del Lazio e altre associazioni per sollecitare una comunicazione responsabile come contrasto alle parole di odio e a ogni forma di discriminazione. Le tre religioni monoteiste, i giornalisti, rappresentati della società civile e delle istituzioni, tra i quali la sindaca di Roma Virginia Raggi e il presidente del Parlamento europeo David Sassoli, sono stati accomunati dalla Carta di Assisi, un viaggio in profondità che è suonato come «un monito anche per chi fa informazione ad un uso corretto del linguaggio», come ha ricordato il presidente della Fnsi Beppe Giulietti, ideatore e animatore della tre giorni.
L’apertura nella sede di Civiltà Cattolica, con padre Antonio Spadaro a ricordare come le parole non debbano generare odio e Liliana Segre, testimone dell’orrore e della necessità di costruire ponti e non muri e di aver cura delle parole.
Di emozione in emozione è stato poi il momento, nella sede della Fnsi, della cittadinanza attiva e del dolore che ha i volti delle famiglie Megalizzi, Siani, Cucchi, Toni. E delle vite stravolte dei non pochi giornalisti sotto scorta, che non mollano in nome del diritto-dovere di informare. Racconti toccanti, nel silenzio irreale di una sala gremita e coinvolta. Le varie realtà di Articolo 21 hanno poi chiesto che un linguaggio scorretto non passi sotto silenzio, ma vada combattuto “perché non può esserci par condicio tra fascismo e antifascismo, tra razzismo e antirazzismo, tra sessismo e diritti delle donne… per una malintesa terzietà di chi riporta le notizie”.
Infine la suggestiva riflessione finale al Ghetto, tra emozione e commozione, accanto al Museo della Shoah dove, a testimonianza di quella mostruosità del 1943, ci sono anche le foto di decine e decine di bambini romani che furono deportati e non tornarono più a casa, inghiottiti dai campi di concentramento. Non a caso il presidente Sassoli ha ribadito che «la democrazia non si conquista una volta per sempre. E questa panchina ce lo ricorda». Una panchina simbolo “dove ci si siede in tanti e ci si fa spazio”, ha osservato Ruben della Rocca, vice presidente della Comunità ebraica di Roma. Anche perché realizzata a Ronchi dei Legionari dall’associazione “Leali delle notizie” con il legno degli alberi distrutti dalla tempesta Vaia del 2018.
In questi giorni difficili riprendere in mano il materiale della tre giorni “Parole non pietre” può essere un buon modo di impiegare il tempo e di tentare di programmare un futuro migliore, anche ripensando al nostro modo di lavorare ed alle informazioni che noi giornalisti trasferiamo ai cittadini.

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