Coronavirus. “Andrà tutto bene” solo se governati e governati comprenderanno i guasti delle scempiaggini di questi anni

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Ma come facciamo a dire che “tutto andrà bene”. Anzi: non è vero che andrà tutto bene, lo sappiamo tutti. E tornare a come stavamo prima del virus non è che proprio mi entusiasmi. Perché i danni della cultura liberista e privatizzatrice non li paghiamo oggi che c’è il virus, li abbiamo già pagati e continueremo a pagarli per chissà quanto tempo ancora. Taglia oggi, privatizza domani e via distruggendo.

Prima di parlare della sanità posso fare qualche esempio facile facile? Abbiamo aspettato che venisse giù il ponte Morandi per accorgerci che le autostrade in mano ai privati non erano sicure come raccontavano per giustificare gli aumenti dei pedaggi? Crolla il ponte e le concessioni non vanno più bene? Avevano detto che la colpa era dell’Anas e dei sui manager incapaci o corrotti. La cura è risultata peggio della malattia (per stare ai tempi sanitari correnti).

Si riempivano le piazze per mandare affanculo chi difendeva le province (non i consigli provinciali) per poi accorgersi che una volta abolite non si sa più chi deve riparare le strade o assicurare il riscaldamento nelle scuole. Privatizza e liberalizza qui e là per accorgersi che il bilancio dello Stato non migliorava di un decimo, ma dirlo non era abbastanza moderno, a la page, mainstream: brillanti accademici (Giavazzi e Alesina solo per citarli ad esempio), ma anche valenti giornalisti come Rizzo e Stella hanno dato sostanza e liceità ad un comun sentire secondo cui ciò che è pubblico è da buttare: ci vuole meno Stato, o – ad essere sinceri – più mercato. Anzi se tutto è merce, serve solo il Mercato. Il disastro è servito, eletti ed elettori a specchiarsi – beati i primi, beoti i secondi, tutti novelli Narciso – nelle bellezze del lago del “senza lacci e lacciuoli”.

Lo Stato, concordo, non deve fare le merendine o i pomodori, ma perché la siderurgia o le tlc devono passare e restare in mani private lasciando il Paese in balia degli interessi e dei profitti stranieri? Dall’Iri ai Riva, ai cinesi, agli indiani, ai tedeschi: ora l’acciaio di qualità di Taranto, Piombino o Terni finisce al ministero dello Sviluppo solo per la quota occupazionale, non certo per il suo valore strategico e industriale. Sulle telecomunicazioni sarà meno doloroso ma è altrettanto evidente come si paghino a caro prezzo le scelte scellerate dei decenni scorsi. Altro che golden power: mentre nelle more di privatizzazioni e liberalizzazioni a go go moriva in culla la banda larga, fiore all’occhiello di ogni governo e di ogni maggioranza, il 5G cinese ha trovato ben poche resistenze alla sua penetrazione.

Decenni di tagli al welfare, alla sanità, alla scuola. Risultato: oggi non sappiamo dove mettere i malati, e non abbiamo abbastanza personale per trattarli e curarli. Privatizzare i servizi essenziali evidenzia scelte di campo nette (a destra) e al contempo nasconde debolezze economiche ma anche politiche e culturali (a sinistra). Il declino italiano, non solo produttivo, lo misuriamo con due parametri secchi: l’aumento delle diseguaglianze e l’abbandono del pubblico dai beni comuni e universali in primis, quali educazione e sanità. Insegnanti eroi? Medici e infermieri eroi? Con quale coraggio! Con quale cattiva coscienza!

Aumenta la dispersione scolastica; il diritto allo studio è tale solo nominalmente; la qualità del nostro sistema formativo va scemando senza alcuna inversione da anni e anni; censo e provenienza familiare tornano a determinare come non mai le carriere scolastiche. Ma veniamo alla sanità (e al welfare). “Siamo abbandonati e senza forze, senza assistenza e senza aiuti, soli con i nostri figli” twittavano pochi giorni orsono le associazioni dei caregiver raccontando come l’emergenza corona virus si riverberi sulle famiglie con disabili in casa. Un aspetto secondario, diranno sottovoce i liberisti (di destra e di sinistra) non potendo ammettere fino in fondo le loro responsabilità. Girano tante cifre sui tagli alla sanità, ai posti letto, al personale sanitario. Tutte facilmente dimostrabili, finanziaria dopo finanziaria. Quel che non si mette mai abbastanza in evidenza è che contemporaneamente alla scure dei bilanci, in 10 anni la spesa “privata” degli italiani per la salute è aumentata del 16,6%, in contrasto con la crescita del 3% di quella pubblica. Privato è bello, privato è meglio, vale anche per la sanità! Il pubblico spreca, non funziona, soldi buttati: meglio l’accreditamento, la sussidiarietà, meglio la compartecipazione, meglio i fondi (magari contrattuali)! Con il risultato eclatante che c’è stata una supplenza, da parte delle famiglie, alle carenze del pubblico pagata con il proprio portafoglio.

L’impatto finale di questa filosofia economico-sociale riguarda la presenza di un numero inadeguato di letti e di personale ospedaliero nelle strutture sanitarie del nostro Paese come la temperie virale di questi giorni sta a dimostrare. Ricordo le riflessioni di Giovanni Belinguer, uno dei padri del Ssn. Sottolineava come con il tempo si è trovato il modo di prevenire e curare con i farmaci molte patologie senza ricorrere al ricovero, e si è diminuito il tempo necessario per il recupero post-operatorio. Infarti, ictus e incidenti stradali si sono ridotti negli ultimi venti anni. Per poi interrogarsi sul perché solo in Italia siano stati tagliati più posti letto che nel resto d’Europa. E perché solo in Italia è calato anno dopo anno il numero di lavoratori negli ospedali, dove già erano meno della media Ue.

Oggi ci stupiamo leggendo la notizia che in Italia c’è una sola azienda produttrice di respiratori artificiali e una di mascherine chirurgiche. Ma non è questo un altro esempio “malato” di assenza di politiche industriali “pubbliche” in comparti che invece ci potrebbero vedere protagonisti? Nessuna nostalgia autarchica proprio quando nel bene e nel male il virus ha spazzato via dall’orizzonte delle istituzioni europee, Commissione in testa, dogmi che parevano invalicabili quali il pareggio di bilancio, il fiscal compact e mandato in soffitta tutto l’armamentario rigorista.

Sono buonista per indole (e matrice cattolica) ma non riesco a partecipare all’afflato nazionalpopolare dei canti dai balconi e dei concerti pomeridiani perché penso che non basti far passare ‘a nuttata per metterci con l’anima in pace. E trovo stucchevoli sia certa carità pelosa che la beneficenza ad usum propaganda tv. Penso invece che solo se governati e governati comprendessero fino in fondo i guasti profondi delle scempiaggini fatte e assecondate allora, forse, “tutto andrà bene”. Me ne rallegrerei, ma sono profondamente scettico.


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