Politica & giustizia. Crisi in sudamerica

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Una duplice coincidenza riunisce in questi giorni Argentina e Brasile: la prima, la più importante, è che gravi e circostanziate accuse di corruzione politica hanno fatto esplodere scandali clamorosi   nei sistemi giudiziari d’entrambi i paesi; l’altra è nell’incontro ufficiale a Buenos Aires tra il presidente Mauricio Macri e il suo omologo brasiliano Jair Bolsonaro. Pur nella diversità dello stile personale, i due capi di stato hanno deciso di avere nel riformismo progressista un comune nemico, trovandosi però in tal modo a condividere anche la profonda frattura creata da questa scelta ideologica nelle rispettive società e da essi stessi definita preoccupante. C’è da credere che abbiano trattato anche la scottante questione giudiziaria, ma non se ne sa nulla.

Tra i grandi paesi sudamericani, in questi ultimi due decenni e fino alle crisi in atto tutti complessivamente protagonisti di una straordinaria espansione economica e politica, Brasile e Argentina sono con ogni probabilità tra quelli che dispongono delle istituzioni più strutturate nel sistema repubblicano e democratico. Non senza sacrifici di sangue ed energie civili, hanno saputo superare i tragici guasti dell’interventismo militare del Novecento. Per realizzare il loro ingresso al nuovo millennio con modelli socio-economici non del tutto compiuti e liberi di contraddizioni, ma certo nel formale rispetto della divisione dei poteri dello stato moderno indicati da Montesquieu nel suo settecentesco e tuttora insuperato “Spirito delle leggi”.

E’ dunque con particolare allarme che proprio in questi due paesi -l’estensione dei quali somma più di mezzo sub-continente e due terzi delle sue capacità di produzione- vengono segnalati gravi e ripetuti episodi di violazione dell’indipendenza reciproca tra i poteri dell’esecutivo e del giudiziario; e all’interno di quest’ultimo tra istanze diverse e con funzioni separate, che tali devono restare affinchè risulti garantito non soltanto l’immediato utente del servizio, bensì attraverso la giustizia a lui resa anche tutti gli altri cittadini destinatari delle medesime garanzie. E’ un passaggio essenziale alla corretta applicazione della legge. Tanto più perchè è proprio sul terreno dei diritti acquisiti o ancora rivendicati che si svolgono essenzialmente il confronto sociale e la battaglia politica in atto.

Sergio Moro, il giudice che ha condannato a 12 anni e mezzo di carcere l’ex capo di stato del Brasile Lula da Silva e poco dopo ha lasciato la magistratura per diventare il ministro della Giustizia del presidente Bolsonaro, sembra aver ignorato la Costituzione e il codice di procedura penale. Lo proverebbero le registrazioni di sue telefonate private con il capo della Procura, Deltan Dallagnol, rivelate da The Intercept Brasil, la pagina brasiliana del giornale on-line fondato con un capitale di 250 milioni di dollari da Pierre Omydiar, il fondatore della famosa impresa elettronica d’intermediazione commerciale E-bay. Moro e Dallagnol, ovvero giudicante e inquirente, con il primo che per legge avrebbe la funzione di verificare il lavoro del secondo, concertavano invece insieme l’investigazione.

The Intercepter ha recuperato una quantità notevole di materiale d’interesse giudiziario e politico che spiega le irregolarità, sostanzia i dubbi che hanno accompagnato la condanna di Lula e già scatena iniziative parlamentari. Ci sono dozzine di scambi scritti tra i due magistrati che intervengono in tutti i momenti significativi, a ogni svolta delle indagini su Lula così come sulla presidente Dilma Rouseff, allora da destituire. Non si tratta di scambi d’informazioni tra colleghi magistrati interessati al medesimo procedimento. La confidenzialità e la passione del linguaggio, suggerimenti da leggere come ordini, l’esplicito pregiudizio di talune chats appaiono agli antipodi dell’atteggiamento di serenità e dovuta distanza richiesti dall’indispensabile imparzialità. Del tutto assente la fondamentale terzietà del giudice.

Lo scandalo giudiziario in Brasile coglie Bolsonaro in un vertiginoso calo di consensi a pochi mesi dalla sua elezione. L’economia continua in recessione, fermo il taglio delle pensioni da cui dovrebbe venire un risparmio per l’erario equivalente a 250 mila miliardi di euro nei prossimi 10 anni, altrimenti il ministro delle Finanze, l’iper-liberista Paulo Guedes, minaccia di andarsene dal governo e perfino dal paese. Dunque una misura-chiave. Per la quale non c’è però la necessaria maggioranza parlamentare. E metterla insieme costerebbe una fortuna in favori d’ogni genere. Bolsonaro è tentato dall’aizzare la piazza contro il Congresso. Il suo vice, generale Hamilton Mourao, che già si è scontrato con i tre figli del capo dello stato accusati di corruzione, non vuole saperne. Il presidente della Camera, Maia gli si oppone.

Alla Casa Rosada la polemica sui giudici trova il presidente Macri in un momento politico ancor più complicato: il suo progetto economico è naufragato. L’Argentina è oggi il paese più indebitato dell’America Latina. Ai creditori interni e internazionali, cominciando con il Fondo Monetario (FMI) che grazie al sostegno di Trump gli ha concesso il credito-record di 57 mila milioni di dollari, il paese deve un intero PIL: 334mila e 289 milioni di dollari, lasciando fuori del conto l’indebitamento delle Province e del Banco Centrale (dati del ministero delle Finanze). Macri spera così di resistere altri quattro mesi e ottenere la conferma a capo dello stato nelle elezioni del prossimo ottobre. Quello giudiziario è uno dei più roventi fronti di battaglia, i cui esiti saranno decisivi.

L’ex presidenta Cristina Fernandez Kirchner ne è la protagonista principale nel doppio ruolo di accusata in una decina di processi di cui si è appena aperto il primo, e candidata alla vicepresidenza della Repubblica nel ticket con l’ex premier Alberto Fernandez. Sulla limpidezza procedurale delle iniziative giudiziarie contro Cristina i dubbi nella stessa magistratura non mancano. A nessuno sfugge la loro tempistica, misurata sulle necessità propagandistiche del presidente Macri. Il presidente della Corte Suprema di Giustizia ammette il deterioro istituzionale senza giri di parole:”Gli argentini stanno perdendo la fiducia nel sistema giudiziario, dubitano che funzionino come dovrebbero i giudici di una democrazia repubblicana”.

Un giudice federale sta raccogliendo indizi non trascurabili su una presunta rete di spionaggio illegale a scopi estorsivi, che coinvolgerebbe personaggi vicini ai servizi segreti, funzionari di Giustizia, un giornalista, imprenditori e faccendieri dei quali ultimi il più noto è stato arrestato. Il governo Macri ha ordinato un processo politico al giudice. L’opinione pubblica è spaccata. Il noto giornalista del quotidiano La Naciòn, Hugo Alconada Moon, dice che sarebbe un grave danno se con l’eventuale vittoria elettorale di Cristina i procedimenti che la vedono imputata evaporassero come è accaduto con quelli contro l’attuale presidente Mauricio Macri. L’uso politico della giustizia preoccupa anche papa Francesco, particolarmente attento alle vicende argentine.


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